domenica 6 gennaio 2013

Consultazione nazionale per salvare la scuola

di Benedetto Vertecchi

NEL CONSIDERARE LE PROPOSTE DI POLITICA SCOLASTICA CHE INCOMINCIANO AD ESSERE FORMULATE IN VISTA DELLE PROSSIME ELEZIONI, conviene tener presenti... quali siano stati gli aspetti che hanno caratterizzato l’azione dei governi della destra, e che sono stati in gran parte confermati dal governo dei tecnici. La politica scolastica della destra ha teso, nominalmente, a conferire maggiore efficienza al sistema dell’istruzione, a rendere più efficaci le decisioni a livello nazionale e locale, a ridurre i costi degli interventi attraverso il ridimensionamento della consistenza del servizio fornito dalle scuole pubbliche. È stato affermato il principio della parità delle condizioni d’intervento da parte delle scuole pubbliche e di quelle private, ponendo a disposizione di queste ultime risorse aggiuntive. Rispetto agli orientamenti prevalenti nel resto d’Europa (e, in genere, nei Paesi industrializzati), sono state compiute scelte in direzione contraria: in Italia è diminuito il tempo di funzionamento delle scuole (da distinguersi dalla durata delle lezioni), mentre altrove si è affermato un modello di scolarizzazione che organizza l’attività degli allievi dal mattino al pomeriggio avanzato e, talvolta, rende disponibili le dotazioni – edilizie e strumentali – anche di sera. In Italia, di fronte all’incalzare della crisi economica, si è ritenuto che il contenimento della spesa pubblica potesse essere ottenuto attraverso la riduzione delle spese per l’educazione, e (con un accostamento non privo di significato) per la sanità, mentre altrove si sono limitate o rinviate le spese in altri settori della vita pubblica, senza ridurre le risorse a disposizione delle scuole. Non si è proceduto sulla via dell’innovazione, che avrebbe richiesto una politica di sviluppo della ricerca, ma si è posta l’enfasi sulla modernizzazione strumentale (identificata con le apparecchiature digitali), trascurando gli interventi per la qualificazione del personale, iniziale e in servizio. L’assenza di un disegno innovativo ha trasformato le nuove strumentazioni in oggetti di consumo. Lo strumentario tecnologico è stato accreditato di una valenza per l’educazione senza che tale valenza potesse essere dimostrata con riferimento a dati obiettivi. La modernizzazione così interpretata ha prodotto un progressivo impoverimento delle scuole, dal punto di vista operativo, come da quello inventariale: le risorse per l’educazione non si accumulano più nel tempo, né dal punto di vista fisico (le dotazioni tecnologiche devono essere rinnovate in tempi sempre più brevi), né da quello della capacità di utilizzarle. Per di più, le scuole sono state spinte ad affermare un loro profilo ponendosi in concorrenza le une con le altre. In altre parole, sono stati utilizzati elementi di senso comune (come sono quelli dei benefici derivanti dalla modernizzazione tecnologica) per esibire una capacità educativa che si andava attenuando. Le nuove risorse finivano col cacciare quelle preesistenti, prevalentemente orientate a conciliate l’apprendimento teorico con la sua applicazione: si pensi al laboratori di scienze naturali, a quelli per la progettazione e realizzazione di oggetti, agli spazi specializzati, alle biblioteche e alla catalogazione del patrimonio librario, all’orticultura e al giardinaggio, alla musica corale e strumentale, alle attività teatrali e via elencando. Il governo che si formerà dopo le elezioni dovrà ristabilire un rapporto di fiducia e collaborazione fra la scuola e la società, perseguendo tramite la proposta di educazione traguardi di equità. In Francia, alcuni anni fa, per riallineare le sensibilità e le interpretazioni del compito educativo della scuola, fu promossa una grande consultazione nazionale, coordinata da un comitato che aveva la più ampia autonomia. Alla consultazione parteciparono milioni di persone (politici, sindacalisti, ricercatori, esponenti del sistema produttivo, dei lavoratori della scuola, delle famiglie, singoli cittadini interessati ai temi in discussione). In Italia, si potrebbero prevedere diversi livelli di consultazione, nei comuni, in territori con caratteristiche affini, in ambito regionale. La consultazione nazionale assumerebbe un carattere di sintesi, mentre quelle locali porrebbero in evidenza esigenze specifiche (edilizia, trasporti, servizi, andamento della domanda eccetera). Un cambiamento importante nell’orientamento della politica scolastica dovrebbe essere costituito nella modifica dell’ottica di analisi e di decisione: la Destra (e i tecnici) hanno considerato prioritari obiettivi che investono il breve periodo (l’esempio più significativo è rappresentato dalla proposta delle tre i (inglese, impresa, informatica) che costituì la bandiera degli interventi del ministro Moratti, perché orientata a favorire l’acquisizione di capacità immediatamente spendibili nel mondo del lavoro. Un orientamento progressista, culturalmente e socialmente più consapevole, nella politica scolastica dovrebbe invece tener conto prioritariamente del medio e lungo periodo, favorendo la crescita di apprendimenti che restino per tutta la vita o per un tratto consistente di essa. Questa scelta strategica consentirebbe anche di contrastare le tendenze regressive che negli ultimi decenni si stanno manifestando nei profili culturali delle popolazioni dei Paesi industrializzati, esposte per le condizioni prevalenti di vita e di lavoro a una progressiva erosione del repertorio simbolico alla base del loro profilo culturale.

2 commenti:

  1. Benedetto Vertecchi nato a Cascia (PG) il 1° maggio 1944.
    Ha effettuato gli studi universitari a Roma, conseguendo con lode la laurea in filosofia nel 1968 presso la Facoltà di Lettere dell'Università "La Sapienza".
    Titolare nel 1969 della borsa di studio "Paolo Rossi".
    Titolare nel 1970 di borsa di studio CNR.
    Nominato assistente ordinario di Pedagogia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'università "La Sapienza" il 1° novembre 1970.
    Incaricato di Pedagogia presso l'Università di Sassari nell'a. a. 1974/75.
    Incaricato di Docimologia presso la Facoltà di Magistero dell'Università "La Sapienza" dall'a. a. 1975/6 all'a. a. 1979/80.
    Professore straordinario di Pedagogia presso l'Università di Ferrara negli a. a. 1980/81 e 1981/82.
    Preside della Facoltà di Magistero dell'Università di Ferrara nell'a. a. 1981/82.
    Chiamato alla cattedra di Teoria e storia della didattica della Facoltà di Magistero dell'Università "La Sapienza" di Roma dal 1° novembre 1982; è attualmente professore ordinario di Pedagogia sperimentale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre.
    Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Educazione dall'a. a. 1985/6 all'a. a. 1989/90.
    Direttore del Centro per la verifica dell'apprendimento di Ferrara dalla sua costituzione (1985) al 1994, quindi Direttore onorario.
    Direttore del Corso di perfezionamento in "Metodi della valutazione scolastica" dalla sua istituzione, nell'a. a. 1986/7; ha anche diretto i corsi in "Fondamenti di didattica", in "Complementi di didattica sperimentale", in "Didattica della lettura".
    Presidente del Centro Europeo dell’Educazione (CEDE) dal gennaio 1997, presso il quale sono stati istituiti il Servizio Nazionale per la Qualità dell'Educazione (maggio 1997) e l’Osservatorio Nazionale sugli Esami di Stato (settembre 1998). In seguito alla trasformazione del Cede in Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione, ne è stato nominato presidente, con decreto presidenziale. Ha tenuto tale carica fino al 4 settembre 2001, quando si è dimesso perché in disaccordo con le linee di politica scolastica del governo succeduto alle elezioni del maggio dello stesso anno.
    Direttore responsabile delle riviste "Istruzione a distanza" e "Cadmo".
    Direttore del Corso di perfezionamento in Valutazione formativa, sommativa e di sistema istituito nell’a. a. 2001-2002 presso l’Università Roma Tre, e dell’omonimo corso di master di secondo livello.
    Direttore delle collane editoriali "Laboratorio didattico" (Firenze, La Nuova Italia), "Classici dell'Educazione contemporanea" (La Nuova Italia), "Classici della pedagogia" (La Nuova Italia), "Biblioteca di Scienze dell'Educazione" (La Nuova Italia), "Materiali per la formazione degli insegnanti" (La Nuova Italia), "Mezzi e metodi per insegnare" (Firenze, Lisciani e Giunti), "La scuola dei maestri" (Napoli, Tecnodid), “La scuola della riforma” (Torino, Paravia), “Segni d’arte” (Roma, Seam), “Ricerche sperimentali. Monografie sull’educazione” (Milano, Franco Angeli).

    Questo signore non è proprio un verginello. Diciamo che ha avuto un ruolo importante nella formulazione di alcune delle linee guida dei governi di sinistra. Infatti nel suo intervento parla solo delle responsabilità della destra, dimenticando il ruolo dei ministri Berlinguer, Fioroni ecc che, mi pare, non abbiano prodotto delle politiche scolastiche condivisibili. Autonomia scolastica, differenziazione del riconoscimento stipendiale per merito (sic!) attraverso un concorsone, dimensionamento, il primo, e, riconoscimento della riforma Moratti e finanziamento delle scuole private, il secondo.

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  2. Da notare il suo lavoro in ambito Invalsi. E' vero che si è dimesso nel 2001, ma ha dedicato tutta la sua attività di pedagogista alla valutazione.
    la valutazione del sistema scolastico nazionale può essere interessante se il fine è davvero migliorare l'istituzione e la qualità della vita nella scuola, sia per i lavoratori, sia per gli alunni. Ma mi pare che il suo obiettivo non fosse questo, ma solo mettere a punto dei sistemi di misurazione

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