da: www.unionedeglistudenti.net
BRUXELLES
– L’idea della scuola-azienda che si nasconde dietro il progetto di
legge Aprea, che tenta di delegittimare il ruolo delle rappresentanze
studentesche, trasformare i consigli d’istituto in consigli di
amministrazione e permetterne l’accesso ai privati, è solo una delle
tante forme con cui si declina il processo europeo di privatizzazione
dell’istruzione.
A più di dieci
anni dall’avvio del processo di Bologna, che ha riordinato la formazione
universitaria, le istituzioni europee, in una situazione...
di recessione
provocata dalla crisi economica con ripercussioni in tutti settori in
termini di occupazione e diffusa contrazione, si è rafforzata sempre più
la necessità del libero mercato di controllare i processi di creazione e
trasmissione del sapere. Le istituzioni europee, portavoci delle
istanze neoliberiste, hanno ben chiara la strategia su come concludere
il processo di assoggettamento a trecentosessanta gradi dell’istruzione
e della formazione ai fini della produzione.
L’arma del
ricatto utilizzata astutamente nella strategia “Ripensare l’Educazione”
presentata dalla Commissione europea è quella della disoccupazione
giovanile. Tutti i giovani europei hanno sperimentato sulla
propria pelle come la crisi del mercato del lavoro abbia comportato un
innalzamento vertiginoso del tasso della disoccupazione. Tale tasso,
soprattutto nell’area dei paesi PIIGS, è infatti molto drammatico.
È unanimemente comprovato che i giovani inoccupati o NEET hanno un fortissimo costo sociale,
che si ripercuote negativamente sull’economia comunitaria e nazionale e
funge anche da ostacolo alla ripresa e alla crescita economica. Sulla
base di questo ragionamento, l’Unione europea, che si pone come chiaro
obiettivo la crescita economica e l’aumento della produttività – sebbene
celi questi obiettivi dietro l’aggettivo sostenibile – si serve
astutamente del problema della disoccupazione giovanile e dei costi
gravosi che da essa derivano, per appropriarsi definitivamente
dell’istruzione, modellandola in modo tale da ottenerne il massimo dei
benefici.
La tesi di “Ripensare l’Educazione” e delle politiche europee in materia d’istruzione punta tutto sul ruolo fondamentale delle skills
(in italiano qualifiche, capacità, competenze, abilità) e su come esse
diventino gli elementi unitari e compositivi dell’istruzione. Cosi come
un fotografia digitalizzata si esprime in pixel, allo stesso modo l’istruzione e la formazione vengono definite in skills.
Così avviene che avere un titolo di studio, come un diploma di
maturità, non rappresenti più il termine di un percorso di formazione e
di appropriazione di sapere e saper fare continuo, bensì un complesso di
competenze discreto, enumerabile, quantificabile, scomponibile e
soprattutto mercificabile.
Avviene inoltre
che la disoccupazione non venga vista come distribuzione iniqua del
lavoro, ma come mancata corrispondenza fra le skills di chi termina percorsi di formazione e le skills richieste dal mondo del lavoro e dalle imprese. Lo skills mismatch
(disparità di qualifiche), dunque, diventa allora il problema
principale da risolvere secondo la logica delle politiche europee
dell’istruzione per le quali i sistemi formativi dovrebbero tutti
essere ripensati sulla base del conseguimento di tali skills.
“L’istruzione e
la formazione possono contribuire alla crescita e alla creazione di
posti di lavoro solo se l’apprendimento è incentrato sulle conoscenze,
sulle abilità e sulle competenze che gli studenti devono acquisire
(risultati dell’apprendimento) attraverso il processo di apprendimento
invece che sul completamento di un determinato ciclo o sul tempo
trascorso a scuola.” – da Ripensare l’Educazione
La certificazione delle skills,
intesa come validità nel curriculum vitae ed il loro riconoscimento,
inteso come spendibilità di queste in maniera flessibile nel mondo del
lavoro, costituisce per la Commissione europea la vera posta in gioco.
Le skills riconosciute dall’Unione europea hanno inoltre una struttura gerarchica resa possibile dalla loro quantizzazione: si comincia dalle skills
di base, come le abilità di lettura e scrittura, l’alfabetizzazione
matematica e scientifica, competenze spesso oggetto di valutazione dei
test OCSE-INVALSI; le skills STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica); le skills
professionali, relative all’istruzione e la formazione professionale,
le quali devono essere sempre più reattive al mercato del lavoro; le skills IT (abilità informatiche) e le conoscenze dell’inglese e delle altre lingue straniere; le skills
imprenditoriali, o anche dette trasversali, come la capacità di
risolvere problemi, lo spirito d’iniziativa e persino il pensiero
critico.
Il risultato è una
topografia preoccupante di tutto lo scibile umano, che tenta di mettere
a valore ogni singola conoscenza o competenza. Tale processo di
appropriazione indebita della conoscenza avviene per mezzo di tante
misure chiave annunciate dalla Commissione. Esse sono dirette non solo
alla “catalogazione delle skills” degli studenti, ma anche
quelle degli stessi insegnanti, i quali devono modellare e aggiornare i
loro metodi di insegnamento per renderli skills-oriented. Per
questo motivo, secondo i parametri europei, sono necessari nuovi e forti
partenariati delle scuole con le imprese, che non avverranno solo più
per i periodi di alternanza scuola-lavoro nell’istruzione professionale.
Addirittura fin dalla scuola primaria, si legge, “è necessario che
tutti gli studenti possano fare esperienza imprenditoriale”.
La
retorica utilizzata dall’Unione europea e dai suoi tecnici altamente
specializzati sottende un vero e proprio ricatto per l’intero mondo
della formazione. Con la trasposizione dei saperi in skills si
colpevolizzano di fatto i giovani che, invece di essere considerati come
vittime della crisi, diventano il problema da risolvere. Non
si mettono in discussione i modelli di produzione, la finanziarizzazione
dell’economia o tutte le altre speculazioni operate dall’alta finanza,
bensì si attacca l’istruzione e si imputa la colpa a studenti ed
insegnanti di non aver acquisito o impartito skills a sufficienza.
Come può un
giovane diventare esperto e competente se non riesce a sviluppare le
proprie competenze lavorando? Come si fa a pensare che la scuola e
l’università possano far sviluppare delle capacità che per secoli sono
state fornite dalla diretta esperienza lavorativa? La risposta dubbia a
questi quesiti lascia spazio ad una certezza: se non ci si accorge
dell’abile tiro mancino messo in campo dall’Unione europea nei confronti
dell’istruzione si rischierà di non riuscire a salvare quell’ultimo
spazio libero che è la scuola dagli artigli del libero mercato. Gli
studenti e le loro famiglie spenderanno fortune in master, corsi di
specializzazione e di certificazioni sperando invano di diventare più
competitivi nel mercato del lavoro, finendo per impoverirsi sempre più
ed arricchire invece chi si è già da tempo arricchito.
di Daniele Dimitri, membro del board dell’Obessu, rete dei sindacati studenteschi europei. Tratto da ilcorsaro.info
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