domenica 21 aprile 2013

Il 25 aprile a Madrid antifascista



Giuseppe Aragno - 17-04-2013

Il prossimo 25 aprile, in una città mobilitata contro il ricatto del debito e la distruzione dello stato sociale, Madrid celebrerà la «festa nazionale per la Liberazione da tutti i fascismi» e renderà omaggio alle donne e agli uomini accorsi in Spagna in difesa della Repubblica minacciata da Franco. Sarà l'occasione per una riflessione sulla lotta antifascista di resistenza, sull'attualità e il valore del 25 aprile in un'Europa...
paradossalmente «unita» eppure divisa come non pareva potesse più esserlo. E' difficile immaginare in quante scuole e università italiane ci sarà spazio per ricordare e quanti giovani, nel clima politico che viviamo, conoscano Rosselli, Pesce o Vincenzo Perrone, caduto per mano franchista a Monte Pelato, e le ragioni per cui migliaia di ragazzi e ragazze nel 1936 partirono dall'Italia per combattere una guerra che non pareva riguardarli. Tra presente e passato s'è ormai creato un pericoloso «corto circuito» e non c'è nulla purtroppo che somigli a un gregge quanto un popolo che ignora la sua storia.
Lo dicono in tanti: «in Europa c'è la crisi». Pochi, tuttavia, colgono probabilmente la contraddizione storica da cui essa scaturisce. Figlia del«Manifesto» scritto da Spinelli, Rossi e Colorni, confinati a Ventotene, e perciò «geneticamente» antifascista, l'Europa unita, infatti, non solo ha smarrito i suoi autentici connotati, ma si va sempre più trasformando nel suo esatto contrario. Nata per impedire l'«oppressione degli stranieri dominatori», è uno strumento di oppressione di alcune élite su masse popolari escluse dai processi decisionali; concepita come antidoto alla degenerazione degli ideali di indipendenza nazionale in quel nazionalismo imperialista che intralciava la libera circolazione di uomini e merci, con la vicenda libica sembra ormai tornata all'imperialismo. In quanto alla libera circolazione, porte spalancate per le merci, soprattutto se speculano sulla qualità, sul costo del lavoro e sui diritti negati, ma per quanto riguarda gli uomini, entro e fuori dai suoi confini, l'Europa mortifica le ragioni stesse della sua esistenza. Da anni ormai una umanità dolente paga sulla propria pelle il naufragio di quel capitalismo che dopo il crollo del muro di Berlino aveva annunciato l'età dell'oro e la «fine della storia». Mentre gli immigrati sono respinti o internati e chi domanda asilo solo raramente trova accoglienza, entro i confini della «terra promessa» l'egemonia dei «paesi creditori» su quelli debitori disegna ormai il quadro di una vera colonizzazione interna. Non bastasse questa grave miseria morale, l'Europa unita, in mano ad élite che governano senza mandato, snatura se stessa, adottando un modello di «democrazia senza partecipazione» e ripudia persino Montesquieu. A rendere più profonda la rottura con l'ispirazione solidaristica dell'idea federalista, a fare dell'Europa un'atroce «zona franca» nella corsa al ribasso sui diritti dei lavoratori hanno pensato poi, negli ultimi anni, l'olocausto mediterraneo e la Grecia, asservita agli interessi delle banche. Un disprezzo così profondo per la vita umana, richiama alla mente le riflessioni di Hannah Arendt sulla «banalità del male» e la filosofia della storia che tra le due guerre mondiali scrisse le pagine più buie della vita dell'Occidente. Dietro il dramma che si profila minaccioso e chiaro all'orizzonte, si intuiscono le ragioni insondabili del profitto che antepongono all'umanità sottomessa gli interessi parassitari di quel capitale finanziario che vide nel fascismo la sua naturale tutela.
In questo quadro, recuperare alla memoria storica la dimensione internazionale dell'antifascismo e della Resistenza, ovunque sia possibile - scuola, università, dibattito culturale, movimenti di lotta alla globalizzazione dello sfruttamento - significa far crescere intelligenze critiche e combattere il pensiero unico. C'è un passo del «Manifesto di Ventotene» in cui l'esperienza di chi ha vissuto la repressione fascista e ha combattuto la sua battaglia per i diritti e la dignità si volge al futuro con uno sguardo così penetrante, da sembrare profetico. E' un passo che andrebbe studiato L'Europa dei popoli uniti, vi si legge, non nascerà senza contrasti. I «privilegiati [...] cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l'ondata di sentimenti e passioni internazionalistiche». Gli antifascisti non hanno dubbi: «quei gruppi del capitalismo [...] che hanno legato le sorti dei loro profitti a quelle degli stati» - scrivono con mano ferma - «già fin da oggi, sentono che l'edificio scricchiola e cercano di salvarsi. [...] hanno uomini e quadri abili ed adusati al comando [...], si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati. Si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere generale delle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuati dentro i movimenti popolari e li abbiano paralizzati, deviati convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovrà fare i conti».
Tornare all'antifascismo e alla sua lunga stagione di lotte condotte tra incomprensioni, fratture e scontri dolorosi, come accadde per la guerra di Spagna, non vuol dire cercare rifugio nel passato di fronte alle sconfitte del presente ma cogliere la lezione che viene dai fatti: c'è nell'antifascismo europeo un filo rosso che lega il passato al presente e disegna una via per il futuro. Il cammino aperto in Spagna da giovani accorsi da ogni Paese a sostegno della libertà e dei diritti calpestati, non si è fermato a Guernica o a Barcellona, nonostante la ferocia dei primi bombardamenti terroristici. Molti dei combattenti italiani di Spagna presero anni dopo la via dei monti e combatterono la guerra partigiana, testimoni troppo spesso dimenticati di una vicenda che segna in maniera indelebile la storia del Novecento. La guerra di Spagna, ebbe a scrivere Pierre Vilar, «come fatto culturale ebbe un valore universale». Il valore che Carlo Rosselli, un grande antifascista, seppe riassumere in una frase che sembra scolpita nella storia: «Non vinceremo in un giorno, ma vinceremo».
Molte cose sono cambiate, ma l'Europa in cui viviamo sembra restituire alla sfida di Rosselli il valore di un monito a futura memoria. E' necessario che il filo della memoria non si spezzi. Non a caso Madrid che lotta in piazza, sente il bisogno di ricordare: nella memoria storica c'è spesso il senso più profondo del presente. E' una lotta che qui da noi dovrebbe fare della scuola statale non solo il punto di sutura tra tempo della storia e tempo della vita, ma un baluardo che va difeso. Costi quel che costi.

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