PARLATE DI SCUOLA E DATECI LA PAROLA
di Daniela Pia
Non potrete dire di non aver sentito
MERITO mi si dice, dovranno premiare il merito dei docenti. Tagliando
ulteriormente fondi e scatti. Bene come posso testimoniare, certificare,
registrare un lavoro come quello che tanti di noi svolgono
quotidianamente? Per esempio, come si puo’ registrare che in una classe
in cui ci sono tre disabili, di cui due gravi, ogni santo giorno devo
fare un lavoro mentale che non puo’ essere quantificabile, tipo spiegare
letteratura e storia a 27 ragazzi, senza dimenticare il necessario
coinvolgimento degli studenti più fragili, con sole nove ore settimanali
di sostegno, e che non posso
assolutamente ignorare? Sono, siamo,
diventati vice mamma , secondino, bidella, operaia e assistente
generica, e ne andiamo pure orgogliosi, mi/ ci siamo assunti oneri che
non ci appartengono, togliendo le castagne dal fuoco a dirigenti,
educatori, giudici e non so più chi, magari qualcuno preposto ad
informarci su patologie e disfunzioni di cui diventiamo consapevoli solo
in itinere. Ma nessuno lo sa... . Non abbiamo i pennarelli per scrivere
alla lavagna e quando ce li danno ci lasciamo mortificare da impiegati
che diventano cani da guardia del padroncino di turno e si sentono
autorizzati a sottoporci ad un processo per accertare se il vecchio
pennarello sia davvero scarico. Altro che tablet. Ci troviamo in aula
studenti che sono autolesionisti, affidati a case famiglia e con storie
pregresse che ignoriamo, spesso violenti, ipercinetici, che ci
impediscono di lavorare e ci succhiano l’ anima; ragazzi che non
vogliamo e non possiamo ignorare, perché li riconosciamo come esseri che
urlano la loro solitudine, il loro bisogno di essere fermati e
ascoltati. Contemporaneamente dobbiamo far capire loro che non tutto può
essere concesso , tollerato, sopportato, che le regole se esistono è
perché hanno un valore e sono a tutela del diritto di tutti. Poi si
cerca un interlocutore possibile, qualcuno che ascolti e quando non
trovi nessuno, chiami tuo cugino, la tua amica , chiedi consigli e loro
ti guardano come se fossi un extraterrestre e ti dicono: ma questo non è
il tuo lavoro, come fai?, come puoi reggere? E non sai cosa rispondere
perché il senso di solitudine è totale e a volte senti che di questa
malattia si può impazzire. Intanto vai avanti: come? è il tuo compito
non vorrai lasciarlo inevaso? Prepara le lezioni, rendile stimolanti,
con il nulla che hai a disposizione: io recito Dante , lo paragono ai
testi delle loro canzoni, mi invento verifiche e faccio e correggo
compiti su compiti. Che fotocopio, il più delle volte, a mie spese in
copisteria. Mi aggiorno continuamente, spendo un sacco di soldi in
libri, faccio citazioni da Calamandrei, scendo verso G. Colombo,
Zagrebelsky, racconto le inchieste fatte da giornalisti veri e presento
tutto ciò come regali: ragazzi vi regalo parole dense di significato,
appendetele nel vostro cuore, scolpitele nella vostra mente, saranno le
armi pacifiche per affrontare la vita. Racconto storie , quelle di don
Gallo, quelle del Vangelo, quelle dei libri, parlo di Renzo Tramaglino e
li invito a non diventare come i suoi capponi . Mi tuffo spericolata su
Cesare Beccaria, sulle Operette Morali di Leopardi. Poi torno a casa,
racconto queste storie ai miei figli, a mio marito, corro a correggere i
compiti e mi butto , non sempre per fortuna , su un divano senza più
energie. Ma… ma arriva il momento della gratificazione, alla fine dell’
anno scolastico, quella economica, 200 euro lordi, per un anno di
“flessibilità didattica “ strappata con le unghie e con i denti in
contrattazione, articolo blindato: si registra tutto nei registri,
apposta si chiamano così, documenti ufficiali, gli unici validi che
attestano il lavoro svolto. Fai una relazione dettagliata,
sovrabbondante, nonostante bastasse aver fatto una sola delle attività
previste per poter “godere di cento euro netti all’ anno in più” e
attendi… attendi e fai un’ altra relazione del lavoro svolto e attendi e
attendi. E ti senti rispondere, in modo arbitrario e supponente che
devi indicare giorno, ora, minuto, che comunque compaiono nei famigerati
registri. Saresti tentata di lasciar perdere: hai consumato troppe
energie, ma siamo creature strane noi docenti e, spesso, ricorriamo a
parole desuete come: Principio, è una questione di principio; Il
principio può far male dice mio marito; è costoso, e stiamo pagando
tutti un prezzo alto. Bene Signori della corte, chiunque voi siate,
sappiate che il lavoro che vi ho descritto, in modo così sommario e
accorato il più delle volte non è stato ritenuto degno di 200 euro lordi
nemmeno il prezzo di un caffè al giorno, nei distributori automatici .
Questo lavoro diviene , di anno in anno più gravoso, e le risorse
diminuiscono sino a scomparire e io sono sempre piu’ stanca e arrabbiata
tanto che ho deciso che voglio, pretendo, una certificazione, UNA
PATENTE DIREBBE CHIARCHIARO, di ciò che chiamo lavoro sommerso, che non è
propriamente quello per il quale ho studiato, ho sacrificato e nel
quale ho creduto e investito. Di tutto questo non si conosce se non una
centesima parte mentre al MIUr spendono e spandono in pillole da 40000
euro per raccontare che il semaforo ha tre colori: giallo rosso e verde.
ODDIO. Oggi io sono arrabbiata, molto arrabbiata, ma non voglio più
sentirmi sola, perché ciò che mi spaventa più di tutto è la tentazione
sempre più forte di lasciarmi andare alla rassegnazione che mi pare
sempre più dolce e terribilmente seducente.
Daniela Pia
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