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domenica 16 dicembre 2012

Gli Insegnanti di Torino per la Scuola Pubblica.

MANIFESTO PER LA SCUOLA PUBBLICA COME BENE COMUNE 

Siamo insegnanti della Scuola Pubblica Italiana. Da anni assistiamo al progressivo impoverimento e smantellamento dell' istituzione scolastica del nostro paese. Ciò avviene in aperto contrasto con quanto sancito dalla Costituzione repubblicana.

Nelle intenzioni dei membri Costituenti, infatti, la scuola doveva essere aperta a tutti, anche nei gradi più elevati di studio e la Repubblica avrebbe dovuto rendere effettivo questo diritto per «i capaci e meritevoli anche se privi di mezzi» (Costituzione, art. 34): dunque una scuola aperta e inclusiva. Ciò perché compito della Repubblica è «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che [...] impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese» (Costituzione, art. 3)...


Invece governo e parlamento sempre più sembrano essersi trasformati in istituzioni al servizio di nuovi soggetti economici, nazionali e internazionali (imprese, banche, Fondo Monetario Internazionale, BCE), che agiscono al di fuori di ogni obbligo e responsabilità sociale e morale. In questo modo, le istituzioni che avrebbero dovuto operare per il bene dei cittadini li stanno invece espropriando di diritti basilari, come quelli della salute e dell'istruzione, in nome della semplice logica del profitto.

Tale logica, mentre da un lato impone tagli che colpiscono le fasce più deboli della popolazione, dall'altro attribuisce alla scuola un ruolo puramente strumentale e addestrativo, imponendole di rinunciare al proprio compito, che è quella di formare donne e uomini dotati di pensiero critico e autonomia di giudizio.

In questo modo il sapere non è più concepito come patrimonio umanizzante, ma come semplice "bene di scambio", spendibile solo su un piano economico e non su quello ben più importante della partecipazione di tutti alla vita associata degli uomini.
[al posto di questo passaggio Luca suggerisce il seguente: vi chiederei di pronunciarvi sul merito. Quale vi pare meglio? Se il In questo modo il delicato momento della trasmissione della conoscenza tra le generazioni viene deprivato del suo fine umanizzante, il sapere si reifica, diventa una merce tra le altre, il cui prezzo d'acquisto fluttua su domanda e offerta. Insieme agli altri precari della conoscenza, non abbiamo più illusioni: da ben prima della crisi la contrattazione sul valore della conoscenza è stabilmente indirizzata verso il ribasso.

Noi vogliamo invece /perciò una scuola pubblica che abbia come obiettivo l'emancipazione umana e che favorisca la mobilità sociale; che sappia essere autenticamente democratica, perché laica, libera e inclusiva, una scuola formatrice di cittadini colti, critici e attivi.

Questa è la scuola che la Costituzione auspica. Questa è la scuola per la quale noi insegnanti della scuola pubblica italiana vogliamo lavorare.

Occorre dunque smettere di pensare la scuola pubblica come un semplice strumento del mercato o, peggio ancora, come una spesa o un costo dello stato, su cui praticare tagli selvaggi e indiscriminati quando una crisi reclama riduzioni della spesa pubblica. La scuola pubblica deve invece essere considerata una risorsa su cui investire, perché è in essa che gli individui possono crescere nella prospettiva di un pensiero libero e creativo: l'unico capace di trovare vie nuove e alternative proprio nei momenti di crisi, quando cioè le soluzioni scontate o tradizionali non sono più efficaci.

Perciò noi riteniamo che la scuola pubblica sia un BENE COMUNE, un bene inalienabile e irrinunciabile, come l'acqua, l'ambiente, la salute e il diritto al lavoro (Costituzione, art.1).

Per questo noi chiediamo a governo e parlamento di:

A. Investire un punto e mezzo in più del PIL nella scuola pubblica – adeguando così l'Italia alla media dei Paesi OCSE (OECD) – per:
migliorare e mettere a norma l'edilizia scolastica (per una scuola più sicura);
ridurre il numero massimo di alunni per classe (per garantire una didattica più efficace e attenta alle persone – con un particolare riguardo per quelle diversamente abili – e per migliorare le condizioni di sicurezza degli alunni stessi);
adeguare i salari dei dipendenti ai salari europei, data la parità media di orario di lavoro (per restituire dignità e motivazione ad una categoria di lavoratori che, nonostante si faccia carico di un compito di notevole responsabilità e valore sociale, negli ultimi anni è stata invece oggetto di continui attacchi denigratori, proprio da parte dei rappresentati delle istituzioni);
garantire risorse perché gli insegnanti possano accedere a percorsi permanenti di reale formazione e aggiornamento, così da garantire sempre una didattica di qualità, attenta (per quanto non supina) alle esigenze del mondo attuale.

B. Assumere i lavoratori precari della scuola, ottemperando così alla norma europea (99/70 c.e.) che prevede la stabilizzazione del personale che ha prestato servizio per almeno tre anni presso la stessa istituzione (e il conseguente riconoscimento dell'esperienza maturata con finalità abilitante [36/50]), per:
garantire continuità didattica e percorsi di insegnamento più uniformi e stabili, progetti formativi di più ampio respiro e lunga durata, migliorando la qualità dell'istruzione;
inserire nel tessuto delle scuole esperienze nuove e aggiornate, contribuendo al miglioramento e all'arricchimento della qualità del servizio scolastico;
tutelare i titoli di studio e le abilitazioni conseguite a norma di legge.

C. Ritirare ogni progetto o provvedimento che comporti il frazionamento su base regionale del sistema scolastico nazionale, o la privatizzazione della scuola (come previsto, per esempio dal DDL 953 ex Aprea). Tali provvedimenti, infatti, rischiano di:
trasformare i Consigli di istituto in appendici servili dei consigli di amministrazione di aziende;
minacciare la libertà di insegnamento (sancita anch'essa dalla Costituzione, art. 33) e la pluralità degli apprendimenti;
creare scuole di serie A e scuole di serie B, a seconda del territorio di appartenenza, con la conseguente perpetuazione di quelle disparità sociali che la Repubblica italiana si propone di ridurre (Costituzione, art. 3).

D. Mantenere l'attuale scansione quinquennale del percorso di istruzione della scuola secondaria di secondo grado (superiori), contro ogni ipotesi di sua riduzione a quattro anni. Diversamente si determinerebbe:
una drastica riduzione dei programmi in termini di qualità e quantità,
un dannoso abbassamento del livello della preparazione degli individui che si affacciano alla formazione universitaria o al lavoro, ma soprattutto alla vita adulta e al ruolo di cittadini attivi.

Noi riteniamo che la nostra idea di scuola non obbedisca a semplici interessi di parte o di categoria, ma possa rispondere alle esigenze di ogni cittadino che spera in un futuro di rilancio, riscatto e rinnovamento civile e politico, economico e culturale per l'Italia. Questi, sono per noi i punti irrinunciabili per garantire la sopravvivenza in Italia di una

scuola pubblica come bene comune.

msaudino@libero.it, chiarabian@alice.it, antoniotallarico@libero.it, guido.guerini@istruzione.it, carlodecarlo@fastwebnet.it, lucbonomo@virgilio.it robertofavata@me.com;

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