Il devastante Burnout degli Insegnanti...
Ecco il docente.
Arriva
giusto in tempo, si siede in fondo alla sala buia sprofondando in una seggiola
comoda come un cactus. È un atto di zombismo questo suo accomodarsi,
sembrerebbe la prima inquadratura di Nitrato d’argento ma è un Collegio
Docenti...
Il tweeter
stride al sibilo dissuasivo del Dirigente-Sciamano, davanti a lui un centinaio
di teste in burnout, alcune ormai vittime di una psicopatologia conclamata.
La mente si distacca dal corpo come in una meditazione in una comune di Osho per sopravvivere a
quel martirio forzato, ma essa ha dimenticato il cielo, le stelle, il mare al
tramonto e tutti i sogni felici perché pensa:
- agli alunni sempre più insofferenti, indisciplinati e ignoranti
- ai compiti da correggere e verbali da controllare (o finire) fino a tarda serata
- ai genitori che minacciano denunce, reclami e sollecitazioni al Dirigente
- all’affitto da pagare
- alla puzza di piedi delle classi prime
- agli alunni che si menano festosamente durante la ricreazione
- a cosa mangiare per cena
- all’autobus sgangherato che prenderà a fine giornata, arrivando a casa giusto il tempo per avvelenarsi placidamente con una puntata di Floris.[1]
Non stiamo esageriamo, non sono luoghi comuni o
dicerie. Parlano i dati, i fatti non sono congetture: già nel 1979 (quando
ancora non esistevano gli SSRI [2]) uno
studio su 2.000 insegnanti dell’area milanese rilevò che il 30% del campione
faceva uso di psicofarmaci [3].
L’indagine
del 2004 apparsa sulla prestigiosa rivista scientifica La Medicina del
lavoro [4] conferma e
ingrandisce quei dati, dimostrando che il disagio mentale, tra i docenti, è in
costante aumento. Nella scuola – non solo in quella italiana – si registrano
tragici rischi psicosociali con percentuali mai riscontrate in altre categorie
professionali: mobbing, Stress Lavoro Correlato e il devastante burnout [5]. Quest’ultimo è conosciuto ai più come
il titolo di un videogame
automobilistico di qualche anno fa, ma non è di questo – ovviamente – che
stiamo scrivendo, bensì di una sindrome che colpisce sempre più lavoratori
della scuola. Oggi,
anche gli insegnanti “sani” (scientificamente definiti “la base”) sono
“potenzialmente a rischio di logoramento psicofisico”.
La categoria professionale dei docenti,
poiché maggiormente esposta ad usura psicofisica, rientra notoriamente tra le
cosiddette helping
profession. Nonostante ciò l’opinione pubblica ritiene che gli insegnanti
fruiscano di una condizione privilegiata. La classe medica è praticamente all’oscuro
delle patologie psichiatriche conseguenti al Disagio Mentale Professionale nei
docenti (DMP). Nonostante in Francia sia stato da poco lanciato l’allarme
suicidio nella categoria, ed in Giappone osservato il raddoppio delle malattie
di natura psichiatrica in un decennio, continua la carenza di pubblicazioni
scientifiche sul DMP degli insegnanti. [6]
Non solo gli
insegnanti sono dei potenziali “malati psichiatrici”, ma presentano una naturale propensione a beccarsi tutte le
malattie esistenti più di altre categorie di lavoratori. I dati dimostrano addirittura
delle percentuali drammatiche dell’incidenza di neoplasie legate alla professione nella popolazione docente (ad
esempio le laringopatie).
Senza troppi giri
di parole, la questione è che se fai l’insegnante hai più probabilità di avere
un tumore o una psicosi. Ecco un grafico che compendia alcuni dati a confronto tra le
percentuali delle patologie psichiatriche degli insegnanti e quelle delle altre
categorie professionali analizzate recentemente in uno studio.
Sebbene le
ricerche sull’argomento siano ormai abbastanza autorevoli e approfondite –
anche grazie all’impegno del dott. Vittorio Lodolo D’Oria [7] che
si occupa del DMP [8] dal 1998 – l’opinione
pubblica continua a considerare e etichettare il mestiere dell’insegnante come
uno pseudo lavoro, un impegno part-time [9] o il
marchio del fannullonismo, l’origine
della rovina delle giovani generazioni o addirittura la causa dell’effetto
serra.
Solo ultimamente
la politica se ne è occupata (per modo di dire). L’onorevole Daniela Sbrollini
(PD) ha presentato un’interrogazione parlamentare nel 2009 ma l’effetto non è
stato sicuramente quello sperato.
[…] i reiterati episodi di cronaca
nera riportati dai mass media (maestra che taglia la lingua ad alunno [10],
professore investe di proposito due suoi studenti eccetera) meritano di essere
attentamente considerati quale eventuale espressione di disagio mentale
professionale anziché venir liquidati come fatti sporadici; è in fase iniziale
il dibattito sull’innalzamento dell’età pensionabile delle donne, pur non
disponendo di alcun dato nazionale sul disagio mentale professionale degli
insegnanti […] [11]
Stessa sorte per l’interrogazione [12]
dell’onorevole Valditara (FLI), rimasta inascoltata dalla maggioranza
parlamentare.
Che la situazione
sia assolutamente tragica lo hanno capito ancora in pochi. Molti lo sanno ma
fanno finta di nulla, perché la patata è decisamente bollente, e più che una
patata è un cocomero: in termini pratici si tratta di occuparsi – con oneri
anche economici – di circa 1.000.000 di lavoratori.
Ma questo tragico
stato di cose non si ferma al
disagio psichiatrico.
Si va oltre, c’è
anche il suicidio.
In Italia,
purtroppo, se ne verificano circa 3.000 ogni anno [13]. Non
entriamo nel merito con stime e percentuali per questioni di rispetto e buon
senso, ma il problema è decisamente serio [14]. Se
in vent’anni (dal 1992 ad oggi) le patologie psichiatriche dei docenti sono
raddoppiate vuole dire – semplicemente – che qualcosa non va.
Neppure i presidi
hanno compreso la gravità del problema, ma la cosa più spiacevole è che esiste
l’ingiustificabile atteggiamento dei docenti a considerare l’invito a
rivolgersi alla Commissione medica di
Verifica (CMV) come un atto di mobbing
del dirigente nei loro confronti [15]. Un comportamento
che certo non aiuta la risoluzione dei problemi, anzi li ingigantisce.
Come risolvere tutto
questo? Come far ritornare il sorriso e azzerare lo stress?
Ci sarebbero due
soluzioni.
La prima ci
arriva da un aforisma di Giovanni Papini, intellettuale fiorentino che più o
meno cento anni fa [16]
disse “Chiudiamo le scuole”. Poiché questa tattica non ci convince del tutto (è
quella implicita nell’attuale programma ministeriale…), passiamo immediatamente
alla seconda, che più che una soluzione è un “pacchetto di proposte”:
- Dopo i 50 anni rendere obbligatorio il part-time (a stipendio intero però).
- Assumere personale dei servizi d’ordine in ogni Istituto.
- Aumentare gli stipendi in modo consistente (almeno il doppio).
- Mensa gratuita o buoni pasto per tutti i lavoratori della scuola.
- Classi con non più di 15 alunni.
- Aumentare le compresenze tra docenti.
- Assegnare un docente di sostegno a tempo pieno in ogni classe al di là della presenza o meno di alunni diversabili.
- Abolire il precariato (non ammazzando i precari, ma assumendoli in ruolo).
Purtroppo lo
sappiamo tutti, il Miur non sembra andare in questa direzione.
Se le cose
dovessero rimanere così ci sarà un’acutizzazione del problema, che a quel punto
diverrà irrisolvibile.
[1] State ridendo dopo aver
letto questa lista? Non fatelo, perché è liberamente ispirata a una tabella (la
quinta, Elenco dei potenziali indicatori di stress nella
scuola),
contenuta in uno studio molto approfondito del 2009 (La Medicina del lavoro N. 3/2009 - Lodolo D’Oria Vittorio. Professione docente: un mestiere a
rischio di disagio psichico?).
[2] Acronimo di selective
serotonin reuptake inhibitors,
ovvero “Inibitore selettivo della ricaptazione della
serotonina”. Gli SSRI sono
una classe di composti in genere utilizzati come antidepressivi nel trattamento
della depressione, disturbi d'ansia, e di alcuni disturbi di personalità.
[3] Studio effettuato dalla CISL assieme
all’Università di Pavia.
[4] Quale
rischio di patologia psichiatrica per la categoria professionale degli
insegnanti?, in La Medicina del
Lavoro, n°5/2004.
[5] La parola burnot è stata introdotta nella psicologia da Herbert Freudenberger
nel 1964 con il suo studio Staff burnout.
Probabilmente Freudenberger si è ispirato al romanzo di Graham Greene A burnt-Out Case del 1960.
[6] Professione
docente: un mestiere a rischio di disagio psichico? Ingadine su stereotipi,
vissuti, biologia e prospettive di una professione al femminile, in La Medicina del Lavoro, N. 3/2009.
[7] Del dott. Lodolo D’Oria consigliamo la
lettura del suo ultimo libro, Pazzi per
la scuola. Il burnout degli insegnanti a 360°: prevenzione e gestione in 125
casi, Alpes Edizioni, 2010.
[8] Disagio Mentale Professionale.
[9] Tipica frase italiota: “18 ore alla settimana e 3 mesi di ferie me lo
chiami lavoro?!”
[10] La on. Sbrollini si riferisce al
clamoroso episodio avvenuto a Milano qualche anno fa. Maestra taglia lingua a un bimbo. «Un gioco», Corriere della Sera,
27 Febbraio 2007, p.19.
[11] Interrogazione a risposta scritta
4-05374 presentata da Daniela Sbrollini, venerdì 11 dicembre 2009, seduta
n.257.
[12] Interrogazione a risposta scritta
4-04347 presentata da Giuseppe Valditara, mercoledì 12 Gennaio 2011, seduta
n.485.
[13] Più o meno 5/6 ogni 100.000 abitanti.
Dati Istat.
[14] Innumerevoli le notizie che raccontano
dell’ennesimo docente che si è tolto la vita. Hanno destato clamore,
recentemente, l’episodio di Genova nel marzo del 2010 e quello di un’insegnante
di lingue di Treviso nel gennaio 2011. Non dimentichiamo – ne parleremo in un
altro paragrafo – che purtroppo questi episodi riguardano anche molto (troppi)
alunni.
[15] Secondo Vittorio Lodolo D’Oria lo pensa
il 60% degli insegnanti.
[16] 1 giugno 1914.
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