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mercoledì 9 gennaio 2013

MANIFESTO PER LA SCUOLA PUBBLICA COME BENE COMUNE

Insegnanti Arrabbiati Torino

Siamo insegnanti della Scuola Pubblica Italiana. Da anni assistiamo al progressivo impoverimento e smantellamento dell'istituzione scolastica del nostro paese. Ciò avviene in aperto contrasto con quanto sancito dalla Costituzione repubblicana. 
Nelle intenzioni dei Costituenti, infatti, la scuola doveva essere...
aperta a tutti, anche nei gradi più elevati di studio, e la Repubblica avrebbe dovuto rendere effettivo questo diritto per «i capaci e meritevoli anche se privi di mezzi» (Costituzione, art. 34): dunque una scuola aperta e inclusiva. Ciò perché compito della Repubblica è «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che [...] impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese» (Costituzione, art. 3).
Invece governo e parlamento sembrano essersi trasformati in istituzioni al servizio di soggetti economici, nazionali e internazionali (imprese, banche, Fondo Monetario Internazionale, BCE), che agiscono al di fuori di ogni obbligo e responsabilità sociale e morale. In questo modo, le istituzioni che dovrebbero operare per il bene dei cittadini li stanno invece espropriando di diritti basilari, in particolare quelli alla salute, al lavoro e all’istruzione, in nome di una logica di puro profitto.
Tale logica, mentre da un lato impone tagli al welfare che colpiscono le fasce più deboli della popolazione, dall'altro attribuisce alla scuola un ruolo puramente strumentale e addestrativo, costringendola a rinunciare al proprio compito, che è quello di formare donne e uomini dotati di pensiero critico e autonomia di azione. In questo modo il sapere non è più concepito come patrimonio umanizzante, ma come consumistica "merce di scambio", spendibile solo su un piano economico e non su quello ben più importante della partecipazione di tutti alla vita associata delle donne e degli uomini.
Noi vogliamo invece una scuola pubblica che abbia come obiettivo l'emancipazione umana e che favorisca la mobilità sociale; che sappia essere autenticamente democratica, perché laica, libera e inclusiva, una scuola formatrice di cittadine e cittadini colti, critici e attivi.
Questa è la scuola che la Costituzione auspica. Questa è la scuola per la quale noi insegnanti della scuola pubblica italiana vogliamo lavorare. 
Esigiamo che il ceto dirigente di questo paese smetta di considerare la scuola pubblica come un semplice strumento del mercato o, peggio ancora, come una spesa o un costo dello Stato, su cui praticare tagli selvaggi e indiscriminati. La scuola pubblica deve invece essere pensata come una dimensione educativa fondamentale su cui investire, perché è in essa che gli individui possono crescere e farsi portatori di un pensiero libero e creativo: l'unico capace di trovare vie nuove e alternative proprio nei momenti di crisi, quando cioè le soluzioni scontate o tradizionali non sono più efficaci.
Noi riteniamo che la scuola pubblica sia un BENE COMUNE, un bene inalienabile e irrinunciabile, come l'acqua, l'ambiente, la salute e il diritto al lavoro (Costituzione, art.1). 
Per questo noi chiediamo a Governo e Parlamento di: 
A. Investire un punto e mezzo in più del PIL nella scuola pubblica – adeguando così l'Italia alla media dei Paesi OCSE – al fine di:
  • migliorare e mettere a norma l'edilizia scolastica: per una scuola più sicura;
  • ridurre il numero massimo di alunni per classe: per garantire una didattica più efficace e pratiche educative attente alle persone – con particolare riguardo per quelle disabili – e per migliorare le condizioni di sicurezza di alunne e alunni;
  • adeguare i salari dei dipendenti ai salari europei, data la parità media di orario di lavoro: per restituire dignità e motivazione ad una categoria di lavoratrici e lavoratori che, nonostante assolva un compito di rilevante responsabilità e valore sociale, negli ultimi anni è stata oggetto di continui attacchi denigratori, proprio da parte di rappresentanti delle istituzioni;
  • garantire risorse per percorsi permanenti di reale formazione e aggiornamento degli insegnanti: per assicurare una formazione, e una didattica, di qualità, attenta (per quanto non supina) alle esigenze del mondo attuale.
B. Assumere i lavoratori precari della scuola, ottemperando così alla norma europea (97/70 c.e.) che prevede la stabilizzazione del personale che ha prestato servizio per almeno tre anni presso la stessa istituzione (e il conseguente riconoscimento dell'esperienza maturata con finalità abilitante [36/2005]), al fine di: 
  • garantire continuità didattica e percorsi di insegnamento più uniformi e stabili, progetti formativi di più ampio respiro e lunga durata, migliorando la qualità dell'istruzione; 
  • inserire nel tessuto delle scuole esperienze nuove e aggiornate, contribuendo al miglioramento e all'arricchimento della qualità del servizio scolastico;
  • tutelare i titoli di studio e le abilitazioni conseguite a norma di legge (diplomi di Istituto e Scuola Magistrale, Scienze della Formazione Primaria, SISS).
C. Ritirare ogni progetto o provvedimento che comporti il frazionamento su base regionale del sistema scolastico nazionale o la privatizzazione della scuola (come previsto, per esempio dal DDL 953 ex Aprea). Riteniamo infatti essenziale:
  • mantenere l’autonomia e l’indipendenza dei Consigli di Istituto, liberi dalle ingerenze di soggetti privati;
  • tutelare la libertà di insegnamento (sancita anch'essa dalla Costituzione, art. 33) e la pluralità degli apprendimenti;
  • scongiurare la gerarchizzazione tra scuole di serie A e scuole di serie B, a seconda del territorio di appartenenza, con la conseguente perpetuazione di quelle disparità sociali che la Repubblica italiana si propone di ridurre (Costituzione, art. 3).
D. Ripristinare nella scuola primaria il progetto didattico del tempo pieno con le relative compresenze.
E. Mantenere l'attuale scansione quinquennale del percorso di istruzione della scuola secondaria di secondo grado, contro ogni ipotesi di sua riduzione a quattro anni. Riteniamo infatti essenziale:
  • evitare la drastica riduzione dei programmi in termini di qualità e quantità;
  • contrastare il dannoso abbassamento del livello di preparazione dei giovani che si affacciano alla formazione universitaria o al lavoro, ma soprattutto alla vita adulta e al ruolo di cittadine e cittadini attivi.
Noi riteniamo che la nostra idea di scuola non rispecchi esclusivamente interessi di parte o di categoria, ma risponda alle esigenze di ogni cittadina e cittadino che spera in un futuro di rilancio, riscatto e rinnovamento civile e politico, economico e culturale per l'Italia. Questi sono per noi i criteri irrinunciabili per garantire l’esistenza in Italia di una

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