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mercoledì 9 gennaio 2013

Ma lì dove si formano i super-tecnici il 70% dei ragazzi viene assunto

da la Repubblica

Filippo Santelli
I giovani cercano, scoraggiati. Ma cercano anche molte aziende. Solo che il ragazzo giusto da assumere, spesso, non si trova. Specie il super-tecnico, il lavoratore specializzato pronto da inserire. Nel 2011, certifica Unioncamere, 117mila profili, quasi il 20%, sono stati «di difficile o impossibile reperimento»...
E’ per correggere questo squilibrio di competenze, domandate e offerte, che sono nati gli Its, Istituti tecnici superiori. Più avanzati degli istituti professionali, ci si iscrive dopo il diploma. Più pratici di un’università, perché basati sull’alternanza tra teoria e lavoro. E focalizzati sulle esigenze delle aziende, che scrivono il programma insieme a scuole e università, unite in una fondazione. Mettendo a disposizione insegnanti, laboratori e tirocini. I corsi durano due anni, si paga solo una tassa di iscrizione. Ad oggi in Italia ne sono nati 72, tutti legati alle esigenze del territorio. Dalla logistica di Verona, alle calzature di Fermo. Dai sistemi aeronautici in Piemonte, al Turismo a Sassari. «L’idea è quella di allineare il mondo della formazione e quello della produzione », spiega il sottosegretario all’Istruzione Elena Ugolini. Un modello destinato a consolidarsi: tra molti tagli, la legge di stabilità approvata a dicembre ha creato un fondo specifico di 14 milioni di euro l’anno. A cui si aggiungono i soldi di enti locali e imprese. Le prime indicazioni sono positive. «Ancora prima di finire la formazione il 70% dei nostri studenti ha già ricevuto un’offerta di lavoro», racconta Raffaele Trivilino, direttore del Consorzio automotive di Chieti. L’associazione, nata attorno allo stabilimento Fiat e il suo indotto, raccoglie quasi 80 società della Regione. Due le figure formate, un tecnico esperto in sistemi produttivi, tra cui il World class manufacturing usato dal Lingotto, e uno nella manutenzione. Il settore è in crisi, ma questo non spaventa Trivilino: «Grazie al legame con l’università, stiamo formando lavoratori addestrati sulle tecnologie che verranno, con una prospettiva a dieci anni». La possibilità di ricalibrare l’offerta di biennio in biennio è una caratteristica degli Its. Una necessità, visto che l’accesso ai fondi ministeriali è legato a criteri come attrattività dei corsi e numero di aziende coinvolte, valutati ogni anno da una commissione del Miur. Nel caso dell’Its per la calzatura di Fermo, che forma tecnici di prodotto ed esperti commerciali, sono i grandi produttori delle Marche, ma anche alcuni laboratori di Napoli. Mentre il corso per la logistica di Verona, finora modulato sulle esigenze dell’interporto cittadino, dal 2013 attiverà un percorso orientato al porto di Venezia. Tra i fattori monitorati dal Miur ci sarà anche il tasso di occupazione dei diplomati. Per l’unico istituto che ha già “laureato” una classe, quello nautico di Genova per ufficiali di marina e di coperta, è prossimo al 100%. «Ora aspettiamo le statistiche per gli altri che arriveranno a fine anno — dice Ugolini — ma il nostro obiettivo è portare le aziende ad assumere i ragazzi in apprendistato già dal secondo tirocinio, ancora prima di finire la formazione ». Senza contare la possibilità per gli studenti di mettersi in proprio, come hanno deciso di fare tre ragazzi dell’istituto di Padova, tecnici per l’efficienza energetica. Un accordo firmato a dicembre tra Stato e Regioni individua sette aree industriali strategiche: agroalimentare, artigianato, meccanica, cultura, turismo, logistica e servizi alla persona. Ogni Regione potrà avere al massimo un Its per ogni settore. Spesso a fare da traino sono le grandi multinazionali: Finmeccanica, per esempio, partecipa attraverso le sue controllate a sette fondazioni Its in tutta Italia, per formare tecnici ferroviari a Caserta o aeronautici a Torino. Ma attorno alle scuole, o anche in modo indipendente, dal 2013 le Regioni potranno creare dei Poli tecnici professionali, reti estese di istituti superiori e aziende. «In modo che l’alternanza scuolalavoro inizi già alla scuola dell’obbligo », conclude Ugolini. «E che anche le piccole imprese, dividendo costi e incombenze, possano accogliere tirocinanti».

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