Quali sono le priorità relative alla scuola in un programma politico di governo? Certamente non quelle che, un po’ svogliatamente, a dire il vero – sono state inserite a p. 9 dell’Agenda Monti. Cambiare rotta davvero – ma chi aveva stabilito o chi ha contribuito a stabilire la rotta precedente?
di Marina Boscaino - 28 dicembre 2012
Quali sono le priorità relative alla scuola in un programma politico
di governo? Certamente non quelle che, un po’ svogliatamente, a dire il
vero – sono state inserite a p. 9 dell’Agenda Monti. Cambiare rotta
davvero – ma chi aveva stabilito o chi ha contribuito a stabilire la
rotta precedente? – significa provare a determinare qualche elemento
davvero imprescindibile e poi praticarlo concretamente, con precise
destinazioni di risorse economiche, umane, professionali, culturali, in
un ambito che, emerso da lustri di incuria e di sottovalutazione,
avrebbe bisogno della concentrazione su molti più elementi di quanti io
abbia messo in rilievo...
1) Innanzitutto parlare di scuola. Restituire, cioè, alla scuola la
propria specificità: temi, analisi, proposte, riflessioni dovrebbero
ricondurre costantemente ad un modello pedagogico-didattico (che
evidenzi innanzitutto che la scuola serve per educare, istruire, rendere
cittadini giovani in formazione) e non a questioni di bilancio e di
contrazione di spesa. Da troppo tempo si discute – e, addirittura, si
articolano proposte e si approvano leggi sulla scuola – dimenticando che
cosa è la scuola stessa. Si “riforma” la scuola non per migliorarla
effettivamente rispetto alla sua vocazione costituzionale (che, a
prescindere da ciò che ormai molti considerano sentimentalismo, rimane
vigente e prioritaria), ma per renderla sempre meno capitolo di spesa
che gravi sulla finanza pubblica, rimuovendo o ignorando il senso
specifico della sua funzione.
2) Innalzamento dell’obbligo scolastico. Se “ce lo chiede l’Europa” è
il mantra che ha accompagnato da un decennio le scelte (soprattutto
quelle di contrazione) a carico della scuola, dimentichiamo troppo
spesso che siamo l’unico Paese europeo che prevede un obbligo di
istruzione – e non scolastico – a 16 anni. Da noi – anomalia dalle
pesantissime conseguenze in ambito politico, civile, oltre che culturale
– l’ultimo anno del biennio delle superiori (ad esempio il V ginnasio)
ha lo stesso effetto dal punto di vista dell’adempimento dell’obbligo di
un anno di apprendistato, o di un anno speso nella formazione
professionale. È evidente, però, che i profili di uscita (culturali e di
cittadinanza) non sono gli stessi. Nonostante il principio di
uguaglianza (art. 3 della Costituzione), licenziamo sedicenni con
competenze culturali e di cittadinanza molto differenti, in coerenza con
le loro provenienze socio-economiche-culturali: la scuola non più come
strumento che rimuove “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della persona umana”, ma come elemento di
immobilizzazione di destini socialmente determinati. Per procedere ad un
effettivo innalzamento dell’obbligo, però, la scuola non può rimanere
così com’è.
3) Generalizzazione della scuola dell’infanzia ed effettiva
laicizzazione della scuola. Sono due elementi che camminano di pari
passo. La frequenza della scuola dell’infanzia rappresenta un elemento
qualificante del percorso scolastico di un individuo. Diversi studi
affermano la sua incidenza sulla maggiore o minore propensione alla
dispersione o al ritardo scolastici, con tutte le conseguenze – anche a
livello sociale – che ciò comporta. Le scuole dell’infanzia sono oggi
per il 16% paritarie. E questo da una parte contraddice quanto la
Costituzione afferma al comma 2 dell’art. 33 “La Repubblica detta le
norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti
gli ordini e gradi”; dall’altra dà buon gioco ai sostenitori della
parità scolastica (che a sua volta contravviene al “senza oneri per lo
Stato” previsto dallo stesso articolo della Costituzione) di ribadire la
necessità di quella norma. Sta di fatto che l’81% delle scuole
paritarie sono confessionali. Il che crea un corto circuito
pericolosissimo, che viola una serie di principi, quali quelli
richiamati nonché la libertà di insegnamento.
4) Lotta senza quartiere alla dispersione scolastica. Una piaga dalle
conseguenze catastrofiche per il nostro futuro e dai costi immediati,
non solo a livello di vicende individuali, ma anche per l’intera
società. La strategia di Lisbona prima, poi UE 2020 hanno invitato il
nostro Paese ad individuare anticorpi rispetto alla dispersione; ma i
progressi fatti dal 2000 ad oggi sono piuttosto irrilevanti e rimane una
percentuale di dispersione pari al 18%, che ci colloca tra i Paesi più
in difficoltà da questo punto di vista. Come l’innalzamento dell’obbligo
scolastico, anche la lotta alla dispersione prevede una reale riforma
della scuola, che – nella differenza delle situazioni geo-sociali –
individui elementi di garanzia per l’apprendimento di tutti, livelli
minimi di prestazioni, conoscenze e competenze imprescindibili di cui
ciascun cittadino italiano deve essere dotato entro l’età dell’obbligo.
In più, il fenomeno della dispersione prevede una revisione di alcuni
elementi formali – formazione delle classi, ad esempio – e sostanziali –
modelli relazionali e didattici – la realizzazione dei quali (insieme
all’introduzione di figure di specialisti nelle scuole a rischio),
implicherebbe un forte investimento nella formazione dei docenti.
5) E’ di tutta evidenza che delle scuole insicure rappresentino un
ossimoro intollerabile. L’edilizia scolastica è uno degli elementi su
cui le promesse elettorali indugiano, salvo dimenticanze di lungo e di
breve periodo. Fatto sta che, anno dopo anno, registriamo episodi che
mettono a rischio l’incolumità immediata e non (si pensi al problema
dell’amianto) di studenti e lavoratori. Un piano speciale per l’edilizia
scolastica non potrebbe rappresentare un modo per incentivare la
ripartenza dell’economia?
6) Personale della scuola: sistema di reclutamento, formazione
iniziale e formazione in itinere sottratti anch’essi alle logiche che da
una parte hanno creato la piaga del precariato, dall’altra hanno
alimentato continui cambiamenti delle regole, fino allo scandalo delle
prove preselettive dei concorsi per dirigente e per docente. Rendere la
docenza scolastica una professione appetibile significa – oltre a
reclutare attraverso sistemi equi invece che con pagliacciate
demagogiche, tecnocratiche e non esenti da cooptazioni non trasparenti –
anche motivare chi vi accede attraverso salari realmente in linea con
quelli europei ed analoghe condizioni di lavoro: luoghi per lo studio e
la ricerca, dotazioni di strumenti tecnologici, accesso privilegiato
all’acquisto di materiale culturale. E significa, soprattutto, evitare
accostamenti impropri ammantati di ideologia neoliberista quali il
termine “produttività” alla professione docente.
7) Infine, democrazia scolastica. Arrestare senza tentennamenti la
deriva mercantilistica che ha caratterizzato non solo l’approccio alle
politiche scolastiche, ma persino alcune proposte (a partire dalla legge
sull’autonomia del ’97, fino al ddl Aprea e successive modificazioni).
La scuola deve essere restituita alla sua funzione di istituzione dello
Stato (come la magistratura), che persegue fini di interesse generale e
sottratta alla funzione di servizio che le scelte politiche ed
amministrative le hanno attribuito dal ’93 ad oggi. Non occorre
inventare strategie particolari: è scritto tutto nella Costituzione, a
partire dal concetto di autonomia, che malauguratamente è stato usato
nel ’97, configurando un percorso estremamente differente da quello
prefigurato dalla Carta. Un’autonomia nello Stato e non dallo Stato, che
si articoli in particolare attraverso un’autonomia dagli esecutivi di
turno, con i quali si dovrà interagire, ma in un autogoverno autonomo, a
cominciare da un ripristinato ruolo del Cnpi, non più presieduto dal
ministro.
Considerato che molti di coloro che sono arrivati fin qui nella
lettura andranno probabilmente nei prossimi giorni ad esprimere la
propria preferenza alle primarie del centrosinistra e, in febbraio, alle
politiche, sarebbe auspicabile che tra i criteri individuati per
determinare il proprio voto ci sia anche l’esplicita dichiarazione di
interesse e di impegno da parte dei candidati prescelti sul tema della
scuola statale, inclusiva, laica e democratica.
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