Di Giuseppe Aragno
La delibera che introduce “il merito” nel giudizio ministeriale sulla scuola è la maschera del mercato, l’ultimo regalo del tecnico. Negli Usa il 97 per cento dei genitori ha contestato i test standard
È uno strano
neonato, un figlio illegittimo di incontri clandestini tra destra
reazionaria e furore ideologico di un tecnico del capitale. Nato venerdì
scorso, è stato battezzato come vuole una prassi ormai consolidata:
«Consiglio dei Ministri, Decreto numero 72 dell’8 marzo 2013». Ligio al
dovere, il Sole24Ore ha annunciato il lieto evento
con l’impareggiabile faccia tosta padronale: il governo “scaduto”,
infatti, per il giornale di Confindustria...
non solo ha «acceso il
semaforo verde definitivo» per dare il via libera a una delibera ormai
indifferibile, ma ha anche risposto all’ansiosa attesa della scuola.
Si direbbe quasi che gli insegnanti, consapevoli d’essere incapaci,
sfaticati e convinti di aver perciò meritato i tagli , i mancati
investimenti, le classi pollaio, le campagne di stampa sui fannulloni e
il discredito dovuto alle dichiarazioni dei loro ministri, non attendano
altro che il giorno del giudizio. La scuola,
pervasa finalmente di spirito cristiano, si sarebbe ormai attestata sul
religioso principio della rassegnazione: quando riceve un ceffone,
porge l’altra guancia e a suon di botte s’è rimbecillita.
Per
il “governo dell’ordinaria amministrazione” – e la stampa che ancora lo
sostiene – il decreto era necessario, perché, si racconta, se i
ministri non l’avessero varato, la scuola
non avrebbe più avuto accesso ai fondi europei. A guidare il sistema
d’ora in avanti penserà l’Invalsi; il ministro parla ovviamente di
“autovalutazione” e mette in ombra la via prescelta, controllata invece
da nuclei esterni, incaricati di intervenire sui percorsi di
miglioramento dell’apprendimento e, di fatto, sul funzionamento delle
scuole.
In
realtà, mentre l’esito delle elezioni politiche dimostra chiaramente
che il paese non si fida degli uomini chiamati a governarlo senza
consultazioni elettorali e dei partiti che si sono assunti la grave
responsabilità storica
di appoggiarli, le scuole della repubblica sono ora obbligate a
rispondere delle inevitabili conseguenze dell’incompetenza ministeriale.
Da
settembre personale amministrativo, docenti e dirigenti scolastici
dovranno render conto a un’agenzia esterna (che ha già dato pessima
prova) e, non bastasse, a genitori trasformati in acquirenti del
“prodotto scuola” immesso sul “mercato”. Ciò, a prescindere dal contesto
in cui essi operano, dal peso insostenibile delle scelte politiche di
chi ha governato e, per finire, dalle responsabilità non di rado
decisive delle famiglie stesse nel fallimento scolastico degli alunni.
Tra le più velenose novità, il decreto presenta, infatti, la
«Rendicontazione sociale delle istituzioni scolastiche», che ha un
significato chiaro ed grave: diagnosi e terapia dell’agenzia esterna
chiamata a valutare sono verità di fede scientificamente provate e non
si discutono, sicché a cuor leggero il ministero, giunto il momento
delle iscrizioni, renderà pubblico il presunto valore delle istituzioni
scolastiche prima e dopo la cura, in modo che «la diffusione dei
risultati raggiunti, attraverso indicatori e dati comparabili», consenta
alle famiglie di scegliere le scuole migliori.
Non
è difficile capirlo: per la libertà d’insegnamento il colpo è mortale.
In questo senso, lo scontro che si è aperto l’anno scorso tra docenti e
autorità scolastiche negli Usa, che della valutazione “marca Profumo”
sono la patria, è molto indicativo. La pietra dello scandalo, infatti,
l’origine della protesta, è stata l’imposizione di test standardizzati
che hanno determinato il proliferare di società pronte a far profitto
valutando il “merito” a scapito del tempo dedicato alla formazione di coscienze critiche. Quando si è giunti a impegnare per le prove qualcosa come dieci giorni di un anno di scuola, i docenti hanno manifestato il sospetto fondato che una valutazione così concepita punti a cancellare la scuola vera, quella che anche negli Usa è l’unica, grande opportunità di riscatto sociale e di crescita civile.
Di
fronte a un sistema che produce profitti per le minoranze e nega
diritti alla collettività, la protesta è montata e non si è mai
veramente spenta. Le molte classi mandate allo sfascio, le pretese
arbitrarie e gli incontrollabili abusi di meccanismi in grado di
controllare e allo stesso tempo sfuggire ai controlli, hanno alimentato
timori fondati di una crisi irreversibile del sistema formativo,
All’ordine del giorno sono così rapidamente giunte le vicende
sintomatiche di ottimi docenti licenziati in nome di un sospetto
“svecchiamento”; docenti che, guarda caso, erano proprio quelli che
godevano della maggior fiducia di genitori, studenti e collettività e
avevano con ogni probabilità un solo demerito: pensavano e inducevano a
pensare. Nella scorsa primavera, quando sono stati resi noti i risultati
dei test e le scuole ritenute a “basso rendimento” – “scheletri”
secondo i Soloni che popolano l’equivalente dell’Invalsi statunitense –
hanno conseguito i punteggi più alti, un sondaggio ha rivelato che il 97
% dei genitori boccia la sedicente “modernizzazione” e i miracoli della
decantata “oggettività anglosassone”. Una “oggettività” così cieca e
sospetta, da fare della globalizzazione l’occasione per un furto di
diritti che è ormai sotto gli occhi di tutti.
La
verità purtroppo è più semplice e terribilmente più grave di quanto
lasci intendere la stampa padronale: il governo Monti, che non è nato da
elezioni e non è caduto in parlamento, perché quando s’è ritenuto
sfiduciato è andato a dimettersi al Quirinale, ha concluso in modo
coerente ma onestamente penoso la sua vita costituzionalmente anomala.
L’otto marzo del 2013 va ricordato col lapillo nero: un consiglio dei
ministri “scaduto” e il suo presidente mai eletto, tecnico e allo stesso
tempo leader di un partito politico bocciato senza appello dagli
elettori, hanno ritenuto di procedere all’approvazione di un decreto che
non aveva alcun carattere d’urgenza.
D’accordo,
le nuove Camere non si sono ancora riunite, ma ciò non abilita un
organismo già morto, come di fatto è il governo Monti, ad un esercizio
normale dei poteri. E’ vero il contrario: il limite invalicabile della
sua facoltà d’intervento è la contingenza straordinaria.
Questo
governo, nato fuori dalla Costituzione e seccamente liquidato dagli
elettori, che lo hanno impietosamente stroncato assieme ai partiti che
lo sostenevano, non mette limiti all’indecenza. Il sistema di
valutazione della scuola
poteva attendere. Urgente è, se mai, la necessità di rimediare
all’estrema arroganza di Monti e dei suoi ministri e c’è da augurarsi
che il Presidente Napolitano provveda a ricondurre il suo ex pupillo al
rispetto della sbandierata “sovranità popolare”.
il manifesto, 13/3/2013
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