A Bologna, alla fine di maggio, i cittadini saranno chiamati a votare
per un referendum consultivo sulla scuola dell'infanzia. Dovranno
esprimersi sul finanziamento di un milione di euro all'anno alle scuole
private da parte del Comune, scegliendo tra il suo mantenimento o la sua
abolizione.
Si tratta di una scadenza che non riguarda solo Bologna, e non riguarda
solo la scuola dell'infanzia. Se ci allontaniamo per un momento
dall'oggetto del referendum possiamo comprenderne meglio la portata.
Il finanziamento pubblico alla scuola privata ha il suo teorico più
illustre nell'economista statunitense Milton Friedman, il principale
esponente della "scuola di Chicago", le cui strategie economiche
liberiste hanno influenzato le politiche di Margaret Thatcher e Ronald
Reagan (e anche di Pinochet).
Il pensiero di Friedman è esposto con chiarezza in uno dei suoi lavori più noti, Capitalismo e libertà (Capitalism and Freedom),
pubblicato nel 1962 (ma il capitolo sull'istruzione è basato su un
articolo apparso nel 1953). L'autore sostiene che lo Stato deve farsi
carico di un livello minimo di alfabetizzazione dei cittadini senza il
quale una società stabile e democratica non potrebbe esistere.
L'istruzione genera vantaggi alla società nel suo complesso, e non solo a
chi frequenta la scuola. Questi vantaggi - che Friedman definisce
attraverso il linguaggio economico come "esternalità" - giustificano
l'intervento dello Stato, un intervento che deve però essere limitato
all'istruzione di base e deve escludere (o quantomeno ridimensionare in
modo drastico) la gestione diretta delle scuole. L'intervento pubblico
deve quindi consistere in voucher assegnati dallo Stato alle
famiglie e da queste spesi direttamente nelle scuole private da loro
scelte. L'obiettivo è introdurre nel sistema dell'istruzione un
meccanismo concorrenziale mutuato dal mercato per aumentarne
l'efficienza e soddisfare la domanda delle famiglie (che l'autore
definisce - non a caso - "consumatori").
Friedman non si preoccupa di analizzare i rischi che la proliferazione
di scuole private può provocare in termini di limitazione e
condizionamento della conoscenza, né di valutare cosa comporti la
riduzione delle scuole pubbliche dal punto di vista della costruzione
della cittadinanza, anzi, fugge letteralmente di fronte al problema:
"Tracciare il confine tra provvedere ai valori sociali comuni necessari
per la stabilità della società da una parte e un indottrinamento che
soffochi la libertà di pensiero e di fede dall'altra è uno di quei tanti
vaghi confini di cui è meglio non cercare di stabilire l'esatto
tracciato" (la traduzione è resa in un italiano piuttosto zoppicante, ma
è quella disponibile nell'edizione corrente pubblicata da IBL Libri,
Torino 2010, p. 150). Non si preoccupa nemmeno della laicità dello
Stato, che potrebbe venire compromessa dalle scuole gestite da
organizzazioni religiose. Anche in questo caso la risposta sta nel ruolo
salvifico della concorrenza: grazie ad essa le scuole confessionali
tenderanno a scomparire. L'individuazione di ciò che il sistema dovrebbe
garantire per formare i cittadini soffre anch'essa di schematismo e
semplificazione: "In merito ai livelli scolastici più bassi vi è un
notevole consenso, prossimo all'unanimità, su quale sia il contenuto più
opportuno di un programma educativo rivolto ai cittadini di una
democrazia: di fatto questi contenuti potrebbero consistere
semplicemente nel leggere, scrivere e far di conto" (p. 160). Il
contenuto sociale e pedagogico della scuola è secondario, tutto è
ricondotto alla logica del mercato e di quel filone del pensiero
economico che teorizza la concorrenza come unico meccanismo regolatore
dei rapporti umani.
La visione della scuola rappresentata nella Costituzione italiana pochi
anni prima rispetto all'elaborazione originaria della teoria di Friedman
si colloca su un versante opposto. La scuola non è solo lo strumento
per imparare a "leggere, scrivere e far di conto", ma il luogo primo e
principale per la costruzione dell'eguaglianza sociale, al di fuori di
qualsiasi meccanismo competitivo e di mercato. Per questo la
Costituzione attribuisce allo Stato (e non al mercato) un ruolo centrale
nell'istituzione e nella gestione delle scuole: questo modello di
governo del sistema educativo è garanzia di pluralismo, gratuità,
laicità, diffusione geografica. Senza questi elementi fondamentali il
principio di eguaglianza rimarrebbe astratto e formale. Ed è per questo
che la Costituzione stabilisce il divieto di finanziamento pubblico alle
scuole private: la libertà di iniziativa privata non deve entrare in
conflitto con il principio di laicità dell'istruzione, anche perché ciò
minerebbe la libertà di insegnamento.
Il pensiero neoliberista e quello della Costituzione sono quindi in
aperto contrasto. Qual è il loro rapporto con il tema del referendum, da
cui siamo partiti?
Se riportiamo lo sguardo su Bologna, notiamo subito che i presupposti
del finanziamento alle scuole private non vengono mai esplicitati. Oggi
l'Amministrazione comunale difende la sua scelta evocando i vincoli del
patto di stabilità che le impediscono di coprire interamente la domanda
con strutture educative proprie. La spiegazione non regge, per un
duplice motivo. Il primo è di ordine storico: il finanziamento alle
scuole private fu adottato nel lontano 1994, quando il Comune non aveva
problemi finanziari. La scelta fu dettata esclusivamente da un obiettivo
politico contingente: realizzare uno scambio per favorire
l'avvicinamento tra gli eredi del Pci (all'epoca sotto la sigla del Pds)
e l'area cattolica, in preparazione della coalizione dell'Ulivo. Il
secondo motivo è di ordine politico. I vincoli ai bilanci perseguiti
tenacemente dal governo Berlusconi (e anche dal governo Monti) hanno
come scopo principale quello di costringere le amministrazioni locali a
dismettere i servizi pubblici. Ma un'amministrazione di centro-sinistra
che si limiti a giustificare le proprie scelte in nome di quei vincoli
mostra di accettare quelle politiche anziché contrastarle.
In definitiva, i toni bellicosi con i quali l'Amministrazione comunale
guidata dal Pd si scaglia contro i promotori del referendum nascondono
ai cittadini le reali motivazioni del finanziamento pubblico alle scuole
private. Poiché sarebbe imbarazzante spiegare l'ideologia che sta
dietro al finanziamento, si adotta la solita strategia di rovesciare
sugli altri l'accusa di "ideologizzare" lo scontro, cercando al contempo
di apparire più intelligenti e lungimiranti accampando ragioni che si
pretendono oggettive e neutrali.
In realtà, dietro la scelta del finanziamento un'ideologia c'è, ed è ben
visibile al di là del sottile velo sotto al quale si pretende di
occultarla. Innanzitutto il finanziamento alle scuole private è in
contrasto con la Costituzione. Non solo il Comune viola il divieto
esplicito di finanziamento, ma non si pone il problema delle famiglie
che scelgono la scuola pubblica e sono invece dirottate per mancanza di
posti - contro la loro volontà - su scuole che sono quasi esclusivamente
gestite da organizzazioni religiose. Non si tratta solo di infrangere
una disposizione della Costituzione (cosa estremamente grave di per sé),
ma di mettere in discussione il principio universalistico
dell'istruzione e insinuare nel sistema educativo i principi del mercato
e della concorrenza, mettendo in secondo piano le finalità educative e
quelle sociali.
La forma di finanziamento delle scuole private da parte del Comune di
Bologna (ma non bisogna dimenticare che ad essa si sommano altri
finanziamenti pubblici da parte della Regione e dello Stato) non è
quella caldeggiata da Friedman. Ma bisognerebbe aggiungere: non è ancora
quella. Oltre a violare il principio di laicità e a limitare la libertà
di scelta dei cittadini nei confronti della scuola pubblica, il
finanziamento apre un varco ai principi neoliberisti. La crisi e i
vincoli di bilancio continueranno ancora a lungo a rappresentare un
comodo alibi per la progressiva dismissione dei servizi pubblici, e
potrebbero essere utilizzati per sostenere soluzioni estreme nel campo
dell'istruzione. D'altra parte il sistema dei voucher è
tutt'altro che inedito nel nostro paese. Proprio in Emilia Romagna è
adottato per gli asili nido, e in Lombardia è generalizzato per ogni
ordine di scuola da almeno tredici anni. La Lombardia è un modello per
la declinazione della sussidiarietà nei termini di
privatizzazione dei servizi finanziata con denaro pubblico, una
declinazione cara a Comunione e liberazione e che ha da tempo sedotto
anche il mondo delle cooperative, comprese quelle radicate nella
tradizione della sinistra.
Friedman, insomma, è più vicino di quanto immaginiamo. Certo, sarebbe
una forzatura pensare che il finanziamento delle scuole private a
Bologna e in altre città governate dal centrosinistra derivi
direttamente da una lettura e da una condivisione dei testi sacri del
neoliberismo. Tuttavia è indubbio che la sinistra sia stata contaminata
da quelle teorie, per vie tortuose e affollate da molteplici mediazioni
politiche e culturali. La recente modifica della Costituzione -
approvata in gran fretta e senza alcuna discussione pubblica - che ha
introdotto nel nostro ordinamento il principio del pareggio di bilancio
rappresenta nient'altro che l'accettazione passiva di uno dei principi
fondamentali del neoliberismo. E' una tendenza riscontrabile anche nelle
politiche scolastiche. Basti pensare che nei mesi scorsi il Pd aveva
dato il suo appoggio incondizionato a una versione in parte emendata e
in parte peggiorata del famigerato disegno di legge Aprea, dove la
competizione tra le scuole e il dirigismo di stampo aziendalista
venivano sanciti in modo inequivocabile.
E' per tutto questo che il referendum del 26 maggio non riguarda solo Bologna. |
A Bologna, alla fine di maggio, i cittadini saranno chiamati a votare
per un referendum consultivo sulla scuola dell'infanzia. Dovranno
esprimersi sul finanziamento di un milione di euro all'anno alle scuole
private da parte del Comune, scegliendo tra il suo mantenimento o la sua
abolizione.
Si tratta di una scadenza che non riguarda solo Bologna, e non riguarda
solo la scuola dell'infanzia. Se ci allontaniamo per un momento
dall'oggetto del referendum possiamo comprenderne meglio la portata.
Il finanziamento pubblico alla scuola privata ha il suo teorico più
illustre nell'economista statunitense Milton Friedman, il principale
esponente della "scuola di Chicago", le cui strategie economiche
liberiste hanno influenzato le politiche di Margaret Thatcher e Ronald
Reagan (e anche di Pinochet).
Il pensiero di Friedman è esposto con chiarezza in uno dei suoi lavori più noti, Capitalismo e libertà (Capitalism and Freedom),
pubblicato nel 1962 (ma il capitolo sull'istruzione è basato su un
articolo apparso nel 1953). L'autore sostiene che lo Stato deve farsi
carico di un livello minimo di alfabetizzazione dei cittadini senza il
quale una società stabile e democratica non potrebbe esistere.
L'istruzione genera vantaggi alla società nel suo complesso, e non solo a
chi frequenta la scuola. Questi vantaggi - che Friedman definisce
attraverso il linguaggio economico come "esternalità" - giustificano
l'intervento dello Stato, un intervento che deve però essere limitato
all'istruzione di base e deve escludere (o quantomeno ridimensionare in
modo drastico) la gestione diretta delle scuole. L'intervento pubblico
deve quindi consistere in voucher assegnati dallo Stato alle
famiglie e da queste spesi direttamente nelle scuole private da loro
scelte. L'obiettivo è introdurre nel sistema dell'istruzione un
meccanismo concorrenziale mutuato dal mercato per aumentarne
l'efficienza e soddisfare la domanda delle famiglie (che l'autore
definisce - non a caso - "consumatori").
Friedman non si preoccupa di analizzare i rischi che la proliferazione
di scuole private può provocare in termini di limitazione e
condizionamento della conoscenza, né di valutare cosa comporti la
riduzione delle scuole pubbliche dal punto di vista della costruzione
della cittadinanza, anzi, fugge letteralmente di fronte al problema:
"Tracciare il confine tra provvedere ai valori sociali comuni necessari
per la stabilità della società da una parte e un indottrinamento che
soffochi la libertà di pensiero e di fede dall'altra è uno di quei tanti
vaghi confini di cui è meglio non cercare di stabilire l'esatto
tracciato" (la traduzione è resa in un italiano piuttosto zoppicante, ma
è quella disponibile nell'edizione corrente pubblicata da IBL Libri,
Torino 2010, p. 150). Non si preoccupa nemmeno della laicità dello
Stato, che potrebbe venire compromessa dalle scuole gestite da
organizzazioni religiose. Anche in questo caso la risposta sta nel ruolo
salvifico della concorrenza: grazie ad essa le scuole confessionali
tenderanno a scomparire. L'individuazione di ciò che il sistema dovrebbe
garantire per formare i cittadini soffre anch'essa di schematismo e
semplificazione: "In merito ai livelli scolastici più bassi vi è un
notevole consenso, prossimo all'unanimità, su quale sia il contenuto più
opportuno di un programma educativo rivolto ai cittadini di una
democrazia: di fatto questi contenuti potrebbero consistere
semplicemente nel leggere, scrivere e far di conto" (p. 160). Il
contenuto sociale e pedagogico della scuola è secondario, tutto è
ricondotto alla logica del mercato e di quel filone del pensiero
economico che teorizza la concorrenza come unico meccanismo regolatore
dei rapporti umani.
La visione della scuola rappresentata nella Costituzione italiana pochi
anni prima rispetto all'elaborazione originaria della teoria di Friedman
si colloca su un versante opposto. La scuola non è solo lo strumento
per imparare a "leggere, scrivere e far di conto", ma il luogo primo e
principale per la costruzione dell'eguaglianza sociale, al di fuori di
qualsiasi meccanismo competitivo e di mercato. Per questo la
Costituzione attribuisce allo Stato (e non al mercato) un ruolo centrale
nell'istituzione e nella gestione delle scuole: questo modello di
governo del sistema educativo è garanzia di pluralismo, gratuità,
laicità, diffusione geografica. Senza questi elementi fondamentali il
principio di eguaglianza rimarrebbe astratto e formale. Ed è per questo
che la Costituzione stabilisce il divieto di finanziamento pubblico alle
scuole private: la libertà di iniziativa privata non deve entrare in
conflitto con il principio di laicità dell'istruzione, anche perché ciò
minerebbe la libertà di insegnamento.
Il pensiero neoliberista e quello della Costituzione sono quindi in
aperto contrasto. Qual è il loro rapporto con il tema del referendum, da
cui siamo partiti?
Se riportiamo lo sguardo su Bologna, notiamo subito che i presupposti
del finanziamento alle scuole private non vengono mai esplicitati. Oggi
l'Amministrazione comunale difende la sua scelta evocando i vincoli del
patto di stabilità che le impediscono di coprire interamente la domanda
con strutture educative proprie. La spiegazione non regge, per un
duplice motivo. Il primo è di ordine storico: il finanziamento alle
scuole private fu adottato nel lontano 1994, quando il Comune non aveva
problemi finanziari. La scelta fu dettata esclusivamente da un obiettivo
politico contingente: realizzare uno scambio per favorire
l'avvicinamento tra gli eredi del Pci (all'epoca sotto la sigla del Pds)
e l'area cattolica, in preparazione della coalizione dell'Ulivo. Il
secondo motivo è di ordine politico. I vincoli ai bilanci perseguiti
tenacemente dal governo Berlusconi (e anche dal governo Monti) hanno
come scopo principale quello di costringere le amministrazioni locali a
dismettere i servizi pubblici. Ma un'amministrazione di centro-sinistra
che si limiti a giustificare le proprie scelte in nome di quei vincoli
mostra di accettare quelle politiche anziché contrastarle.
In definitiva, i toni bellicosi con i quali l'Amministrazione comunale
guidata dal Pd si scaglia contro i promotori del referendum nascondono
ai cittadini le reali motivazioni del finanziamento pubblico alle scuole
private. Poiché sarebbe imbarazzante spiegare l'ideologia che sta
dietro al finanziamento, si adotta la solita strategia di rovesciare
sugli altri l'accusa di "ideologizzare" lo scontro, cercando al contempo
di apparire più intelligenti e lungimiranti accampando ragioni che si
pretendono oggettive e neutrali.
In realtà, dietro la scelta del finanziamento un'ideologia c'è, ed è ben
visibile al di là del sottile velo sotto al quale si pretende di
occultarla. Innanzitutto il finanziamento alle scuole private è in
contrasto con la Costituzione. Non solo il Comune viola il divieto
esplicito di finanziamento, ma non si pone il problema delle famiglie
che scelgono la scuola pubblica e sono invece dirottate per mancanza di
posti - contro la loro volontà - su scuole che sono quasi esclusivamente
gestite da organizzazioni religiose. Non si tratta solo di infrangere
una disposizione della Costituzione (cosa estremamente grave di per sé),
ma di mettere in discussione il principio universalistico
dell'istruzione e insinuare nel sistema educativo i principi del mercato
e della concorrenza, mettendo in secondo piano le finalità educative e
quelle sociali.
La forma di finanziamento delle scuole private da parte del Comune di
Bologna (ma non bisogna dimenticare che ad essa si sommano altri
finanziamenti pubblici da parte della Regione e dello Stato) non è
quella caldeggiata da Friedman. Ma bisognerebbe aggiungere: non è ancora
quella. Oltre a violare il principio di laicità e a limitare la libertà
di scelta dei cittadini nei confronti della scuola pubblica, il
finanziamento apre un varco ai principi neoliberisti. La crisi e i
vincoli di bilancio continueranno ancora a lungo a rappresentare un
comodo alibi per la progressiva dismissione dei servizi pubblici, e
potrebbero essere utilizzati per sostenere soluzioni estreme nel campo
dell'istruzione. D'altra parte il sistema dei voucher è
tutt'altro che inedito nel nostro paese. Proprio in Emilia Romagna è
adottato per gli asili nido, e in Lombardia è generalizzato per ogni
ordine di scuola da almeno tredici anni. La Lombardia è un modello per
la declinazione della sussidiarietà nei termini di
privatizzazione dei servizi finanziata con denaro pubblico, una
declinazione cara a Comunione e liberazione e che ha da tempo sedotto
anche il mondo delle cooperative, comprese quelle radicate nella
tradizione della sinistra.
Friedman, insomma, è più vicino di quanto immaginiamo. Certo, sarebbe
una forzatura pensare che il finanziamento delle scuole private a
Bologna e in altre città governate dal centrosinistra derivi
direttamente da una lettura e da una condivisione dei testi sacri del
neoliberismo. Tuttavia è indubbio che la sinistra sia stata contaminata
da quelle teorie, per vie tortuose e affollate da molteplici mediazioni
politiche e culturali. La recente modifica della Costituzione -
approvata in gran fretta e senza alcuna discussione pubblica - che ha
introdotto nel nostro ordinamento il principio del pareggio di bilancio
rappresenta nient'altro che l'accettazione passiva di uno dei principi
fondamentali del neoliberismo. E' una tendenza riscontrabile anche nelle
politiche scolastiche. Basti pensare che nei mesi scorsi il Pd aveva
dato il suo appoggio incondizionato a una versione in parte emendata e
in parte peggiorata del famigerato disegno di legge Aprea, dove la
competizione tra le scuole e il dirigismo di stampo aziendalista
venivano sanciti in modo inequivocabile.
E' per tutto questo che il referendum del 26 maggio non riguarda solo Bologna.
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