giovedì 23 maggio 2013

Creare i BES e tagliare il sostegno.


Creare i BES e tagliare il sostegno.
Non ne parla nessuno. Ma per il prossimo anno scolastico c’è il rischio concreto di un drastico taglio agli insegnanti di sostegno. L’ultima eredita del ministro Profumo. Stiamo parlando della direttiva “Strumenti di intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”, firmata dal Ministro Profumo a inizio gennaio, prevista fin dal 27 dicembre 2012. I Bes, l’acronimo, sono quei ragazzi che non hanno né una certificazione di disabilità né dislessia dichiarata. L’idea in sé è buona. Il consiglio di classe potrà avviare percorsi personalizzati. Potrebbe trattarsi di una difficoltà, non di un disturbo. Di un bisogno temporaneo, di un problema familiare sociale ed economico. Il baricentro si sposta sul piano educativo e il processo di inclusione diventa qualcosa che riguarda davvero tutta la comunità educante, tutto il corpo docente. Per ogni ragazzo segnalato deve essere redatto un piano individuale di intervento. Prendiamo situazioni limite quali possono essere quartieri di marginalità conclamata, soprattutto nelle grandi metropoli. Inutile citare questo o quel quartiere. In casi così i piani individuali potrebbero riguardare una classe intera. Allora, domanda. I professori hanno il tempo necessario per fare anche questo? Come sappiamo negli anni scorsi per ogni materia d’insegnamento sono state ridotte le ore, per tagliare posti di lavoro e avere come ricaduta una minore qualità dell’istruzione.

Ma i problemi sono anche altri. Scrive Sara Biscioni di Tecnica della scuola. “Quindi tu, che sei povero, o che sei straniero, hai un Bisogno Educativo Speciale. Non lo sapevi? Tiè. L’elemento di pericolosità emerge in tutta la sua evidenza: chi è in situazione di svantaggio sociale e culturale, e chi non è madrelingua italiano, è paragonato a chi possiede una certificazione clinica di DSA (e appunto sorvolo sulla bontà di tali certificazioni, che spesso sono distribuite a piene mani a chiunque sia “poco conforme” alla figura del bravo studente – robottino)”.
Perché mettere in un’unica Circolare indicazioni per situazioni così differenti? Soprattutto, perché l’essere povero o di famiglia non italiana significa avere un Bisogno Educativo Speciale?? Perché lo dice l’Europa? Molti insegnanti penseranno: “Beh, almeno questa Circolare impone l’adozione di un Piano Educativo Personalizzato che può aiutare gli studenti non madrelingua ad accostarsi poco a poco allo studio delle discipline”, che è quanto già si fa e si dovrebbe fare attraverso una riduzione temporanea dei contenuti e una semplificazione temporanea dei testi di studio e delle verifiche in caso di difficoltà connesse alle scarse competenze in lingua italiana. Attenzione però a non confondere la bontà dello strumento (il piano personalizzato, che spesso è utile ed efficace) con la bontà del piano generale a cui lo strumento si riferisce.
Perché mettere questi studenti, e le loro difficoltà, sullo stesso piano degli studenti con difficoltà cognitive? E lo “svantaggio sociale e culturale”, cosa c’entra? Sono io la prima a sostenere che le difficoltà economiche, la mancanza di reti sociali e comunitarie, la mancanza di possibilità di accesso a strumenti di ricchezza culturale possono (possono) provocare insuccessi scolastici o precoce abbandono degli studi (e anche qui sorvolo sulle riflessioni che sarebbero dovute sui metodi e gli scopi dell’educazione statale pro – capitalista), ma in questi casi non c’è bisogno di sigle o programmazioni: c’è bisogno di agire con forza per azzerare le ingiustizie economiche, sociali e linguistiche che rendono questi studenti “svantaggiati”! Ovviamente, per limitarci alle azioni a livello scolastico, il primo passo sarebbe dare fondi e professionalità alle scuole i cui studenti maggiormente vivono queste ingiustizie..”.
Considerazioni che hanno come conseguenza quello che la Biscioni scrive ancora: “Andiamo avanti: dalla “rilevazione, monitoraggio e valutazione del grado di inclusività della scuola” si potranno “desumere indicatori realistici sui quali fondare piani di miglioramento organizzativo e culturale”. Dunque indicatori di inclusività. Ottimo, uno pensa: sapremo così quali sono le scuole più attente ai bisogni degli studenti Bes, cioè con svantaggio sociale (economico non l’han scritto, che faceva brutto), culturale, problemi cognitivi e comportamentali vari, stranieri. Ma leggiamola a rovescio: sapremo esattamente quali sono le scuole con più studenti con svantaggio sociale culturale ecc… Cioè qualcuno potrà farsi un’idea precisa e scegliere magari di non mandare il proprio figlio in quella scuola così troppo “inclusiva”.
Ed ecco che l’inclusione può diventare segregazione…”. Ecco. Il rischio di scuole ghetto. Non solo. C’è il rischio dell’allargamento dei bisogni educativi speciali alle altre disabilità. I genitori a volte sono restii e denunciare l’handicap, quelle problematiche che rientrano nei disturbi specifici dell’apprendimento quali dislessia, disgrafia, discalculia. Sarà gioco facile assecondarli. Far gravare sul collego dei docenti questi problemi e ridurre la necessità degli insegnanti di sostegno. Continuare a togliere, anche posti di lavoro, dichiarando il contrario. (F.Lup.) 

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