Riprendiamo da Megachip questa lettera pubblicata da SenzaSoste. L'autrice vi
descrive la sua recente esperienza per poter conseguire l'abilitazione
all'insegnamento nelle scuole secondarie. Il risultato è un racconto
dalle tinte kafkiane che ci mostra l'incredibile macchina burocratica
che ancora dis-governa e muove (se di movimento si può ancora parlare)
l'istruzione pubblica nel nostro Paese. (la redazione)...
Vi
scrivo per raccontare la storia del mio tentativo di conseguire
l'abilitazione all'insegnamento attraverso gli ormai prossimi all'avvio
Tfa. Si tratta di una vicenda personale, che però a mio avviso getta
luce su quello che è lo stato diffuso dell'università italiana, e anche
sul disinteresse che ricopre quanto e quanti hanno a che fare con
l'istruzione pubblica.
Come
forse si saprà i Tfa sono stati attivati per il conseguimento
dell'abilitazione all'insegnamento nelle scuole secondarie, requisito
d'ora in poi indispensabile per la partecipazione ai concorsi nazionali e
per poter sperare di conquistare l'ambita "cattedra". Dopo mesi di
attesa, indiscrezioni e dilazioni, nella scorsa primavera i Tfa sono
stati banditi: di durata annuale, secondo quanto recitava il bando
ministeriale, a numero chiuso, con selezione per titoli ed esami.
Fin
dalla prima prova, predisposta dal Ministero e identica su tutto il
territorio nazionale, si è capito che aria tirava. Le prime graduatorie
sono state annullate in seguito alla denuncia di errori e ambiguità
nella formulazione dei quesiti a risposta multipla - per la mia classe,
Filosofia e Storia, neppure la più sfortunata, sono state annullate 13
domande su 60. Subito i ministri, tanto Gelmini che Profumo, se ne
sono lavati le mani dichiarandosi "non responsabili"; e con una
dignitosa mossa a scarica-barile, hanno pubblicato i nomi degli
"esperti" chiamati a preparare i test. Con quali intendimenti, forse
che noi candidati andassimo a aspettarli sotto casa uno per uno per una
tirata di orecchi?
Le
prove successive, scritta e orale, erano affidate alle singole
università titolari dei corsi di Tfa, ed è qui che iniziano direttamente
i miei rapporti con l'università di Siena. Nulla da dire sulla serietà
della commissione giudicante, che anzi ha tentato di venirci in contro
di fronte ad eventuali problemi procurati dalla scarsa comunicazione da
parte degli uffici dell'ateneo o da inconvenienti "tecnici" di varia
natura. Le difficoltà sono sorte nel momento in cui la palla è passata
agli uffici responsabili per i Tfa. I risultati degli orali non sono
stati comunicati per oltre tre settimane, nonostante fossero disponibili
dalla chiusura delle prove (a mia richiesta, mi sono sentita dire che
potevo tornare ad Arezzo a leggerli sulla "porta dell'aula": non fosse
che io per raggiungere Arezzo impiego tre ore, e ad ogni modo, se
potevo leggerli io, perché non poteva fare altrettanto la responsabile
della loro pubblicità?). Finalmente – dopo altri ritardi dovuti ai
soliti "problemi tecnici" di cui ci si è resi conto non prima di venti
giorni - il 21 dicembre sono uscite le graduatorie che ritenevamo
ufficiali. Felice di essere entrata, comunico sul mio - precario, a
progetto - posto di lavoro la mia possibile indisponibilità nei primi
mesi del 2013 (ma ancora in modo ipotetico, in assenza dei calendari
delle lezioni).
A
gennaio le preiscrizioni: moduli sbagliati, con errori dovuti
presumibilmente a un copia e incolla poco attento; un unico indirizzo
e-mail a cui chiedere informazioni (non esistono né un numero di
telefono, né un ufficio aperto al pubblico), a cui scrivo più lettere
che non trovano risposta, fino a sentirmi dire che "è stato
disattivato", peccato che sul sito figuri ancora come l'unico e solo a
cui rivolgersi; la responsabile, cui scrivo direttamente, che latita;
il preside di facoltà, poi il rettore, che non rispondono una riga alle
mie lettere di richiesta prima, di protesta poi. Intanto sento
comunicazioni poco rassicuranti dagli iscritti in altri atenei
italiani: viene chiesto loro di pagare la prima rata delle tasse (spesso oltre 1000 euro) senza che sia loro comunicato il calendario didattico, l'organizzazione delle lezioni, la sede scolastica in cui dovranno svolgere il tirocinio...
italiani: viene chiesto loro di pagare la prima rata delle tasse (spesso oltre 1000 euro) senza che sia loro comunicato il calendario didattico, l'organizzazione delle lezioni, la sede scolastica in cui dovranno svolgere il tirocinio...
Noi,
della classe A037 presso Siena, non sappiamo ancora in che città
dovremo recarci: se a Pisa, a Siena, o ad Arezzo. Poi, il 22 gennaio, la
sorpresa: le graduatorie della nostra classe, a causa di problemi al
sistema informatico e "errori materiali" di cui nessuno si è accorto per
oltre un mese, e di cui nessuno si assume la responsabilità, dovranno
essere riviste. A tre giorni da quella che fino al giorno prima figurava
come la data ultima per il pagamento delle tasse d'iscrizione, sono le
stesse graduatorie ad essere in forse. E chi, come me, avesse già
comunicato la propria assenza sul lavoro? Chi avesse rinunciato ad un
impiego, magari temporaneo ma pur sempre un impiego, a seguito della
pubblicazione di quelle graduatorie che per oltre un mese hanno figurato
come ufficiali? Quanto meno, è uscito il calendario delle lezioni: i
corsi annunciati di durata annuale avranno durata effettiva di tre mesi e
mezzo, per la medesima cifra prevista,
di 2200 euro. Oltre all'incongruità della spesa per un tirocinio nel quale la maggior parte delle ore saranno di nostra presenza nelle classi a fianco di docenti di ruolo (che non so, ma non credo vedranno di molto arricchito il proprio stipendio per l'opera di tutoraggio che dovranno svolgere), pare evidente che le università stesse sappiano quanto inutile sia l'opera "formativa" che ci presteranno, se la si può comprimere tranquillamente da un anno a poco più di tre mesi.
di 2200 euro. Oltre all'incongruità della spesa per un tirocinio nel quale la maggior parte delle ore saranno di nostra presenza nelle classi a fianco di docenti di ruolo (che non so, ma non credo vedranno di molto arricchito il proprio stipendio per l'opera di tutoraggio che dovranno svolgere), pare evidente che le università stesse sappiano quanto inutile sia l'opera "formativa" che ci presteranno, se la si può comprimere tranquillamente da un anno a poco più di tre mesi.
So
che questa lettera è lunga e verbosa, ma ci tenevo a spiegare la
situazione, non solo per portare avanti la mia personale protesta, ma
per manifestare un disagio che riguarda anche la maggioranza di quanti
stanno partecipando a questi Tfa. Ci imbattiamo in disorganizzazione,
sciatteria, totale disinteresse. Eppure un po' di serietà la
meriteremmo, in primis per quella che ci abbiamo messo noi, che, anche
dopo la laurea, abbiamo continuato a studiare mesi per preparare i
concorsi, abbiamo pagato la tassa di iscrizione per sostenere le prove,
ci siamo - parlo per me e altri colleghi che conosco in Toscana, ma non
credo altrove sia stato tanto diverso - sobbarcati spostamenti, viaggi
di ore, notti in albergo pagate di tasca nostra per sostenere gli esami
quando questi si svolgevano lontano dalla residenza. Il tutto
volentieri, con la fiducia che il nostro impegno servisse a qualcosa. E
questo per poter ottenere l'abilitazione all'insegnamento, che non ci
garantisce il lavoro, ma è solo clausola indispensabile per sperare di
poterlo un giorno, con altro studio e impegno, avere. In altri paesi la
formazione degli insegnanti della scuola pubblica è considerata un
interesse nazionale, un corpo docente valido e preparato è una ricchezza
per la collettività. Qui siamo demandati nelle mani di soggetti ai
quali, evidentemente, della scuola pubblica non importa alcunché; e che
non esito, per quel che riguarda la mia esperienza, a definire quanto
meno poco seri nello svolgimento di quello che sarebbe il loro dovere,
nulla più.
Probabilmente
la lettera sarà troppo lunga per la pubblicazione, ma mi piacerebbe se
potesse venire in qualche modo a galla la nostra situazione, magari con
un articolo. E' davvero faticoso, e anche offensivo per la nostra
dignità, questo trattamento prolungato di mancanza totale di rispetto.
Che poi culmina nelle parole di Monti sugli insegnanti "viziati", e
pure un po' vigliacchi. Lui, che nella scuola pubblica non ha mai
insegnato, provi a chiedere agli insegnanti come vivono e lavorano. E a
chiedere a noi, aspiranti insegnanti, quanta motivazione ci è richiesta.
Tutta questa trafila, stancante e demoralizzante, in vista di altri
anni ancora di precariato.
Viene voglia di andar via da questo paese, via lontano.
Vi
ringrazio per l'attenzione e mi scuso ancora per la lunghezza della
lettera, ma volevo spiegare tutto il meglio possibile, dato anche che,
sui giornali tanto locali che nazionali è molto difficile trovar traccia
di queste vicende e della nostra situazione.
Silvia Baglini
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