di Daniela Pia
Cosa
è diventata questa scuola per la quale abbiamo studiato, ci siamo
rimboccati le maniche e nella quale ci siamo spesi? Lo racconto con tre
istantanee.
Ore 10,
il collaboratore scolastico dell’istituto alberghiero nel quale insegno
mi guarda sconsolato e mi dice professoressa, ma come facciamo? Siamo
in due e solo in questo reparto ci sono 4 classi prime scoperte. Questi
sono scatenati, ingestibili. Abbiamo circa 1200 studenti, provate a
immaginare nei periodi di influenza, cosa capita...
Ore
12 e 30 mentre spiego la teoria del piacere di Leopardi mi avvicino a
un banco e trovo, ben allineati davanti alla borsetta posta a mo’ di
barricata: il lettore MP3, la trousse dei cosmetici, lo specchietto
aperto e ben posizionato, la crema per le mani, il burro cacao, il
caricabatterie, il cellulare, una barretta di cioccolata. Ma anche la
letteratura. Nell’ora successiva poi ho provato a spiegare poesia senza
che gli studenti avessero il libro di testo, altro che LIM. Nel
frattempo non mi sono fatta mancare qualche sortita nell’aula a fianco,
il cui docente era malato, dove pareva in atto un sabba.
E intanto mi chiedevo: cosa avrà voluto intendere nell’imporci la “valutazione” affidata a enti esterni, il governo Monti, in limine mortis? A leggere pare di ascoltare un «de profundis» alla libertà di insegnamento.
Probabilmente,
nella sua infinita cura per la scuola di tutti, questo governo – non
eletto e bocciato alle urne – voleva valutare come gestiamo la
quotidiana emergenza. Oppure come ci arrabattiamo per stare al tempo coi
mezzi tecnologici di cui si riempiono tutti la bocca, mentre noi usiamo
le nostre tecnologie, in una scuola che vegeta ancora all’età della
pietra per mancanza di fondi? O forse volevano capire come gestiamo l’
emergenza sicurezza in scuole fatiscenti, portandoci le maniglie da casa
e provvedendo a sistemarle, per poter chiudere la porta delle aule?
Magari, mi son detta, vogliono valutare come abbiamo promosso uomini e
donne che non sono numeri o automi da addestrare, compilatori di
crocette e quiz raccolti dalla spazzatura Usa. E ancora mi chiedevo: chi
saranno questa marea di valutatori, e chi potrà valutare il loro
operato se loro nulla sanno del nostro quotidiano inventarci?
Poi però sono uscita, finalmente, e mentre facevo la spesa una giovane donna mi ha sorriso e mi ha detto: «professoressa non mi riconosce?».
E ho ritrovato una traccia del mio lavoro nel suo breve raccontarsi,
nell’indignazione con la quale mostrava consapevolezza della deriva che
tutto sta travolgendo, compreso il futuro della sua recente famiglia: «sono
stata licenziata dal negozio di calzature nel quale lavoravo perché
sono rimasta incinta, la proprietaria mi ha detto – te non ti posso più
tenere, meno male che la tua collega non può avere figli».
E
lì mi ha preso un malessere che si è trasformato in rabbia feroce che
nessuno potrà valutare. Io oggi sento di essere un’educatrice, in un
sistema che diseduca, autorizza il sopruso, cancella l’uomo e umilia la
donna. Io oggi sono una educatrice che valuta la finzione di cui lo
Stato si compiace, mentendo sapendo di mentire, quando parla di scuola
pubblica. Oggi sono io che valuto ciò che ci hanno fatto e la
valutazione è negativa, “signori della corte”. La condanna per ciò che è
stato fatto alla scuola della Repubblica, la scuola di tutti e per
tutti, è senza appello. A ciò si aggiunga la consapevolezza che il mondo
del lavoro per il quale abbiamo preparato i nostri studenti è una
finzione fatta di abusi indecenti che i governi succedutisi negli ultimi
20 anni hanno artatamente provveduto ad apparecchiare. Bocciata quindi
ed espulsa da tutte le scuole “del regno” l’intollerabile incapacità di
occuparsi dei nostri ragazzi di tecnici e politici di professione.
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